Per fare la rivoluzione bisogna saper sognare. E da un sogno, inseguito al punto da diventare reale, inizia la rivoluzione “made in Sud” del Birrificio Messina. Un sogno comune di 15 ex operai che, nonostante la crisi, il licenziamento e l’inganno, non si sono mai arresi, ma hanno lottato per cambiare la realtà in loro favore, puntando tutto su sé stessi.
“Il Birrificio Messina è nato grazie al sostegno della Fondazione di Comunità di Messina, ma anche grazie al desiderio di noi lavoratori di recuperare la dignità perduta” ha raccontato Mimmo Sorrenti, presidente del Birrificio Messina Cooperativa Sociale, durante la terza tappa di “Un futuro mai visto”, che si è svolta a Napoli e che è stata dedicata alla figura di Adriano Olivetti, l’imprenditore che ha rivoluzionato le dinamiche della produzione e che, se ci fosse stato a Napoli, si sarebbe sicuramente emozionato all’ascolto delle parole di Mimmo.
“Abbiamo vissuto tre vertenze: per prima quella della Birra Messina che si faceva una volta, poi l’Heineken e infine Triscele, che per ultima ci ha mandato sulla strada con l’inganno, facendoci perdere la nostra dignità di lavoratori e padri di famiglia”.
La storia. La produzione della Birra Messina risale al 1923, anno in cui fu avviata con un certo successo dalla famiglia Lo Presti-Faranda. A fine anni ’80 viene acquistata dalla Dreher a sua volta poi acquisita dall’Heineken, che fa dello stabilimento messinese uno tra quelli di punta in Europa con 80 dipendenti e quote di produzione che superano i 600mila ettolitri l’anno. Sulla fine degli anni ’90, Heineken decide di ingrandire lo stabilimento, ma rimane impantanata in questioni burocratiche così decide di trasferire il grosso della produzione in Puglia e rimane in Sicilia per imbottigliare, ma solo in parte e solo finché non si rende conto che i costi di produzione sono troppo alti. A quel punto, nel gennaio 2007, la multinazionale annuncia che lo stabilimento di Messina cesserà le proprie attività produttive e trasferirà i dipendenti nelle sedi sparse in tutta Italia. Dopo qualche settimana e molte proteste da parte dei lavoratori, si candidano all’acquisto gli eredi della famiglia Faranda, proprietaria originaria. Le trattative si concludono dopo circa un anno con la cessione del ramo di azienda per poco più di 4 milioni di euro alla nuova società che si chiamerà Triscele Srl. Heineken, tuttavia, non cede il marchio “Birra Messina” e, infatti, continua a produrla tutt’oggi.
I nuovi proprietari del Birrificio decidono di contrarre la produzione, sostenendo che per tenere il passo serve un ammodernamento degli impianti che vorrebbero edificare in un altro luogo, chiedendo e ottenendo, nello stesso tempo, il cambio di destinazione d’uso del vecchio stabilimento situato a ridosso del centro della città. Il vero obiettivo della proprietà, però risulterà poi essere una speculazione immobiliare, che gli operai intuiscono ricevendo le lettere di licenziamento. A questo punto avviano un presidio permanente durato un anno e mezzo davanti allo stabilimento, nel corso del quale riescono a ottenere che la Regione Siciliana ponga sull’intera area il vincolo di interesse storico ed etnoantropologico. In questo modo l’operazione di abbattimento del vecchio stabilimento si blocca, ma non le procedure di licenziamento collettivo dei birrai, che vengono collocati nelle liste di mobilità.
Qui inizia il sogno. Quindici ex dipendenti della Triscele Srl scelgono di non restare nei percorsi assistenziali, ma di tornare alla loro professionalità in forma di cooperativa e, nell’estate del 2013, fondano il Birrificio Messina. “La cooperativa è nata dal coraggio, dal cuore, non dalla disperazione ma dalla voglia di riscatto” ha racconta orgoglioso Mimmo Sorrenti.
Insieme alla Fondazione di Comunità di Messina, la cooperativa ha realizzato una pianificazione economico-finanziaria rigorosa e credibile, coinvolgendo investitori e finanza specializzata e attraendo più di due milioni di euro, la cifra necessaria per integrare il capitale dei 15 lavoratori che hanno destinato alla cooperativa il proprio Tfr e la rimanente parte dei fondi relativi all’indennità di mobilità. Con circa 3 milioni di euro, quindi, gli operai diventati ormai padroni riescono a coprire il fabbisogno della nuova start-up.
“Abbiamo iniziato totalmente da zero e oggi il nostro sogno si è realizzato”, con queste parole Mimmo Sorrenti ha presentato le tre birre che hanno dato forma al sogno. Dallo scorso 29 luglio, infatti, il Birrificio Messina ha ufficialmente rialzato la saracinesca e da qualche settimane le birre prodotte sono tornate in commercio. Sono “la doc15, che è dedicata a noi stessi, è doc perché dopo tanti anni osiamo ritenerci maestri birrai e 15 quanti siamo noi operai; la cruda15 e la birra dello stretto, che è dedicata alla città di Messina, sempre solidale con noi. La città ha collaborato, ci ha aiutato moltissimo anche semplicemente dandoci il coraggio per andare avanti e affrontare tutti i problemi”.
“Con la birra dello stretto – conclude Mimmo – abbiamo anche realizzato idealmente il ponte che non c’è, perché con questa birra abbiamo unito le due sponde”.
Basta armarsi di coraggio, e i più bei sogni possono diventare realtà.
Claudia Cannatà
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