Critico d’arte, opinionista, politico, personaggio televisivo, scrittore. Vittorio Sgarbi è indubbiamente un personaggio poliedrico che nella vita ha ricoperto ruoli molto diversi fra loro. È stato sindaco o assessore di ben otto comuni diversi, ha militato in 18 movimenti o partiti politici, è stato deputato, sottosegretario ai beni culturali. È noto anche per le sue sfuriate televisive. Non tutti sanno però che Vittorio Sgarbi è stato anche “inventore” di un’iniziativa, sperimentata con non molto successo a Salemi in Sicilia, che comunque si sta diffondendo in molti comuni d’Italia: quella delle case a 1 euro, per salvare i centri storici dall’abbandono e dal degrado. Lo abbiamo intervistato per ritornare sull’argomento a dieci anni dalla sua sperimentazione e per capire se a suo avviso può rappresentare una soluzione anche al problema della povertà abitativa.

Ormai dieci anni fa lei è stato il promotore di un’iniziativa, la prima in Italia, delle case a un euro, quando era sindaco di Salemi. Come le è venuta l’idea?

Salemi è un paese che è stato semidistrutto dal terremoto del Belice del ‘68. Ma il terremoto ha fatto danni minori rispetto all’abbandono, conseguenza di una pessima soluzione trovata dallo Stato. In pratica dopo il terremoto lo Stato erogava finanziamenti del 100% a chi ricostruisse in trasferimento, cioè altrove. Quindi le case del centro storico lentamente sono andate depauperandosi, con nessuno che aveva interesse a rimetterle in piedi. Quando sono diventato sindaco ho fatto un’operazione per trasferire la proprietà di quelle case abbandonate al Comune e, una volta che le ho assunte, abbiamo redatto uno statuto che regolava i dettagli di assegnazione delle case ai privati. Purtroppo non si è realizzato tutto in tempo prima che io me ne andassi, quindi tutto è rimasto sospeso e l’iniziativa è stata portata a compimento in un altro comune siciliano che si chiama Gangi, dove il sindaco ha venduto e fatto ricostruire case secondo lo stesso spirito.

Quell’esperienza non andò particolarmente bene, ma è poi stata replicata da molti comuni. Complessivamente la ritiene un successo o un fallimento?

Direi che è stata un successo. Quando hai uno stabile in abbandono la cui proprietà è pubblica e il pubblico non intende intervenire, questa cessione, che è una cessione regolamentata in un ambito temporale di cinquant’anni, ottant’anni, novant’anni, non toglie nulla allo Stato o al Comune, che altro non farebbe che lasciarlo andare ancora più in rovina e consente – soprattutto per quegli edifici che non sono troppo lesionati o compromessi – di fare interventi di riabilitazione. Quindi, dal punto di vista logico è una cosa che può funzionare.

Ritiene che lo stato di abbandono dei borghi italiani sia migliorato o peggiorato rispetto a dieci anni fa?

Dipende, la situazione è molto varia, non c’è una regola. Quello che posso dirti è che vi sono casi in cui ha funzionato questo strumento o altro analogo e situazioni, ancora di abbandono,  in cui è chiaro che questa misura, soprattutto se applicata e pubblicizzata con impegno, può portare dei risultati positivi.

Operazioni come questa, oltre ad affrontare il problema dell’abbandono dei nostri borghi, nostro patrimonio culturale, possono essere anche una soluzione al problema della povertà abitativa?

Senza dubbio possono essere una soluzione, e lo possono essere anche per una parte di persone per cui si parla di accoglienza. È chiaro che l’operazione va fatta con dei numeri reali. Ma il principio è semplice e può includere anche l’attività fisica: se vuoi avere una casa la paghi anche semplicemente rimettendola in piedi. Il lavoro e l’abitabilità possono essere conciliati in operazioni come questa che vanno fatte su grande scala, essendoci molte situazioni critiche, molte situazioni di abbandono. E non parlo solo di piccoli paesi, ma anche di centri storici importanti. Ad esempio ci sono intere aree di Palermo che sono distrutte e mai più ricostruite. Quindi il buon senso ricostruttivo può essere riconciliato con quello dell’accoglienza a persone bisognose.

Anche il nuovo governo si promette di affrontare il tema della povertà, che nel frattempo in Italia ha raggiunto livelli preoccupanti secondo i dati Istat. Mi riferisco a misure come il reddito di cittadinanza, ad esempio. Cosa ne pensa? Iniziative di riabitazione dei centri abbandonati potrebbero trovare spazio nell’agenda?

Mah, questo governo è fatto di “pischelli” spesso ingenui e spesso anche un po’ furbi, con cui si tratterebbe di capire, fare un forum su alcuni problemi, al di là della politica e valutare la situazione. Di per sé, avendolo io votato, non ho un pregiudizio verso questo governo. Mi pare ci sia stato un tradimento della vittoria del centrodestra col quale potevamo governare – e io stesso sarei potuto andare al governo – se si fosse tornati a votare. Una volta che Berlusconi ha fatto questa scelta di lasciare campo libero a Salvini quello che è venuto fuori è un governo di ragazzi molto freschi, anche molte persone nuove che non hanno un’ideologia politica particolarmente definita, per cui alcuni ragionamenti si potrebbero fare.

Nel discorso di insediamento del premier Conte non c’è stato alcun riferimento alla cultura, cosa ne pensa?

Questo lo abbiamo già fatto notare, d’altronde non c’era stato nemmeno in campagna elettorale. In futuro l’idea è di rilanciare, spero in tempo per le elezioni europee, il Movimento Rinascimento (movimento politico fondato da Vittorio Sgarbi con l’intento di “riportare al centro dell’azione politica il primato della bellezza”, ndr) che ha la peculiarità di valutare quale patrimonio noi lasciamo in oblio e in abbandono, e quindi metterlo al centro di un’azione politica attiva. Spero si possa fare entro primavera. Non c’è dubbio che ci sia stata una totale distrazione di ogni parte politica rispetto a questa materia. Il Movimento Rinascimento era partito bene, avevamo molti iscritti e avevamo anche trovato le firme in parlamento per presentare le liste ma è stato sostituito da Noi per l’Italia, un movimento di Cesa e Fitto che hanno raccolto quattro voti.

Un’ultima domanda, si è più occupato del tema dell’abbandono dei paesi?

No, sono diventato sindaco di Sutri ma lì l’argomento non è propriamente quello della ripopolazione. È un’area bellissima. Certo, si poteva anche avere più fortuna. I problemi che ho a Sutri sono notevoli, ma se uno trova un luogo come Ravello, molto avanti nella conservazione statica e urbanistica, può portare molte novità. Il problema a Salemi era che il paese era per metà distrutto.

A cura di Andrea Degl’Innocenti