Housing First, letteralmente “prima la casa”, nasce negli Stati Uniti intorno agli anni Novanta e prevede il passaggio diretto dalla strada alla casa per persone senza dimora croniche e con disturbi mentali. Alla persona che vive in strada o in dormitorio viene offerta la possibilità di entrare in un programma di inclusione sociale che parte proprio dalla casa. Ce ne parla Cristina Avonto, presidente di Fio.PSD

In quali paesi e in quali situazioni viene adottato Housing First? A chi si rivolge?

In poco più di 20 anni, HF si è diffuso in molti paesi come Canada, Australia ed Europa. In particolare, dopo il 2012 una larga sperimentazione del modello si è diffusa in Francia, Spagna, Belgio, Finlandia, Paesi Bassi, Danimarca Norvegia, Polonia, Svezia, Gran Bretagna, e dal 2014 anche in Italia con il lancio del Network Housing First. Ogni paese in Europa e nel mondo ha sposato i principi cardine dell’approccio (assicurare una casa e mettere la persona e i suoi bisogni, desideri, capacità e risorse al centro di  una strategia di recovery – come si dice in gergo tecnico – ovvero di recupero di uno stato di benessere) adattando in maniera flessibile l’approccio al target group (cronici, persone sd over 65, persone senza dimora con dipendenze, persone senza dimora giovani, famiglie senza casa) e alle politiche nazionali.

Quali sono i benefici di questo approccio?

Con HF, le persone dopo anni di strada ritrovano nella casa un luogo confortevole e intimo nel quale poter vivere e ritrovare poco a poco il proprio benessere psico-fisico. Gli studi dell’Università di Padova su un campione di circa 60 persone accolte in case Housing First in Italia dal 2014 al 2016 dimostrano che l’80% delle persone si sente a casa nel luogo in cui vive, i livelli di salute psico-fisica si stabilizzano nel 70% dei casi. Il 68% delle persone intervistate vive il quartiere e si ritrova con amici anche se le relazioni sociali, i rapporti con il quartiere, “la quotidianità” sono tutti ambiti sui quali il programma vuole lavorare molto utilizzando un approccio di comunità per poter rafforzare i già i promettenti risultati.

Può parlarci del progetto Housing First avviato da fio.PSD? Cosa ha offerto e chi ne ha beneficiato?

In Italia dunque il progetto è partito nel 2014 con un grande obiettivo – direi più che riuscito – portare Housing First in Italia e rivoluzionare l’approccio con il quale tradizionalmente si affronta la grave marginalità. La casa diventa il primo passaggio – la porta di accesso ai servizi – e poi ci sono i colloqui, l’ascolto della persona, le visite a casa, il progetto personalizzato, la compartecipazione alle spese della casa. Ci sono le fatiche e gli abbandoni e questo lo diciamo con grande serenità perché serve a migliorarci sempre e a dire che HF è uno degli approcci più promettenti ma non è per tutti.

Come fio.PSD, dopo aver partecipato alla rete europea dell’Housing First, abbiamo lanciato questo progetto ambizioso a Torino nel lontano febbraio 2014 e oltre 50 organizzazioni (comuni e cooperative sociali, Caritas e fondazioni etc) hanno raccolto la sfida e hanno deciso di avviare il servizio Housing First presso le proprie città. Torino, Milano, Ragusa, Bologna, Ravenna, Chioggia, Padova…

Abbiamo investito in primis nella formazione degli operatori sociali che per due anni hanno seguito le nostre summer e winter school per apprendere “cos’è e come si fa HF”. E poi abbiamo accompagnato – come sempre facciamo come Federazione – i nostri membri del Network a crescere e a maturare questa sperimentazione che continua tutt’oggi con la seconda edizione del Network HF (2017-2019).

Che risultati avete avuto?

Il primo risultato è certamente essere riusciti in soli due anni a mettere in casa 668 persone (adulti e figli compresi). E già solo questo è un risultato grandioso se si pensa che siamo partiti da zero. L’80% di queste persone mantiene la casa e riceve un supporto flessibile dai servizi sociali pubblici e privati che hanno preso in carico la persona o il nucleo a seconda della gravità della situazione (per altri risultati si veda il comunicato stampa del 3 maggio disponibile qui).

Cos’è la Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora e di cosa si occupa?

La fio.PSD è una federazione di enti pubblici e privati che ha come obiettivo quello di dare il contenuto specifico ma anche permettere lo scambio fra enti diversi per sensibilizzare e rafforzare le reciproche competenze.

Tra le principali attività possiamo citare le molteplici azioni di sensibilizzazione (o lobby) ai livelli europei (FEAD Network, Thematic Network Social Inclusion, Housing Right Watch, FEANTSA), italiani (esperto nazionale sulla homelesseness, campagna Homeless Zero, protocolli regionali, etc); azioni di formazione agli enti soci ed ai loro operatori, anche con scambi di buone pratiche a livello internazionale; azioni di informazione e comunicazione e raccolta dati; percorsi di accompagnamento alla progettazione degli interventi per enti locali, regioni.

Chi sono oggi in Italia le persone senza dimora? 

Le persone senza dimora oggi in Italia sono oltre 50 mila. Il dato è del 2015 ed è una stima costruita da Istat a seguito di una indagine in 158 grandi e medie città italiane. Sono per lo più uomini, in maggioranza stranieri e vivono al Nord dove sono presenti anche molti servizi.  Hanno perso casa, lavoro, famiglia e salute e fanno lavori precari vivendo in dormitorio (questi sono i working poor). E poi ci sono le persone con problemi di salute fisica o mentale dichiarati, con pensione invalidità insufficiente a mantenersi una casa in una grande città senza una rete familiare di supporto, o con disturbi non riconosciuti. E’ questa è l’area grigia del disturbo mentale e delle fragilità psicologiche nella quale sempre più persone si ritrovano e dove si rimane facilmente incastrati. Il dormitorio è la risposta più economica e meno attivante. Ecco perché HF nasce con l’obiettivo di ribaltare questo meccanismo vizioso che se va benissimo per rispondere a bisogni primari, alla lunga cronicizza e abbatte le aspettative di recupero delle persone e degli operatori stessi.

La povertà abitativa grave si porta dietro un sacco di problemi spesso legati a equilibri precari sul lavoro o conflitti familiari o gravi problemi economici che portano allo sfratto. Ma in Europa anche il sovraffollamento o le occupazioni o stare in comunità terapeutiche vuol dire essere homeless.

Le istituzioni devono prendere maggiore consapevolezza che la povertà abitativa va affrontata rendendo accessibili le case e prevenire situazioni di disagio grave.

Qual è l’apporto delle istituzioni pubbliche (nazionali e locali) nella risoluzione del problema della povertà abitativa?

Tornando all’HF, il modello favorisce il percorso di autonomia delle persone e rimette al centro non l’assistenza alla persona ma lo stimolo all’autonomia. questo per gli enti pubblici è un cambio di prospettiva ed una sfida nella metodologia di presa in carico della persona. le misure nazionale della Social card prima, SIA dopo ed adesso del REI come misura universale, hanno stimolato e orientato questo nuovo approccio che, per i senza dimora ha visto la predisposizione delle linee guida nazionali per il contrasto alla grave marginalità adulta, linee guide costruite con l’apporto della esperienza di fio. PSD.

 Alessandra Profilio