Fritz Lang, il grande regista di capolavori come Metropolis o Il grande caldo, amava definirsi non un artista ma un artigiano. Essere artigiani significa non solo essere capaci di creare, di trasformare la realtà attraverso le idee e il contatto con la materia, ma vuol dire anche essere portatori di un “saper fare” che viene da lontano e dovrebbe portare altrettanto lontano. Un sapere di conoscenze, al tempo stesso filosofico e pragmatico, che rappresenta il patrimonio di un paese e di un popolo. Un sapere che si fa “tradizione” per essere tramandato alle future generazioni, ma che al contempo dovrebbe sfuggire da essa, innovarsi, cambiare, più o meno lentamente, per essere un sapere attuale, necessario e utile. Quando manca questo passaggio, è una tradizione che muore e un sapere che scompare. E’ il caso, purtroppo, di molte nostre forme di artigianato segnate non solo dal passo veloce dei tempi, ma da contraddizioni e dalla mancanza di investimenti, non solo economici.
In un paese come l’Italia, famoso per i suoi prodotti di qualità, in cui la disoccupazione giovanile è altissima ma sempre di più scarseggiano calzolai, vetrai, sarti e scalpellini, la riscoperta del saper fare tradizionale dovrebbe essere un percorso naturale. La realtà invece è tutt’altra. Tecnica e tradizione però possono non essere sufficienti: per affrontare la sfida, occorrono una forte consapevolezza degli effetti della globalizzazione e la capacità di valorizzare, se necessario, il ruolo della tecnologia. In generale, serve apportare innovazione, immaginare nuovi campi di applicazione per antichi mestieri. E’ forse superfluo sottolineare come le “botteghe” rappresentino un forte elemento di attrazione turistica, grazie al gusto del “fatto a mano” e al valore della “unicità” sempre più ricercati e che, per semplificare, definiamo come la forza del Made in Italy.
Le contraddizioni, come anticipato, si intrecciano però alle difficoltà di rendere azioni concrete le varie riflessioni sulle opportunità che l’artigianato, e in particolare quello artistico, è in grado di offrire a giovani e territori. E’ questo, in particolare, l’aspetto che ci interessa maggiormente esplorare. Perché, oltre alle prerogative culturali ed economiche, l’artigianato artistico può comprendere anche quelle sociali. Queste, addirittura possono essere la principale leva che permette la riscoperta dei “saperi” e la loro valorizzazione, la loro seconda vita.
Abbiamo voluto dare spazio, perciò, a diverse esperienze che si sono confrontate con l’artigianato partendo dal punto vista e da esigenze di natura sociale. Il risultato? Recuperate le tradizioni, recuperato il capitale umano; sperimentati interventi di inclusione sociale e di sviluppo locale; valorizzati saperi, giovani, territori. Da questo punto di vista, lo spunto di riflessione è venuto dalla sperimentazione avviata con il bando della Fondazione CON IL SUD per promuovere interventi capaci di recuperare e valorizzare tradizioni artigianali tipiche di particolari aree meridionali che sono in via di “estinzione”, creando attorno ad essi occasioni di inclusione di soggetti svantaggiati e opportunità professionali per le nuove generazioni.
“Le situazioni più difficili creano possibilità…L’arte in sé è salvifica!” E’ uno dei messaggi che abbiamo raccolto dall’intervista che il maestro Dalisi ha voluto concederci. Crediamo che queste poche righe contengano un grande pezzo di verità sulla “potenza” sprigionata dall’arte e dalla cultura quando incrociano il sociale.
Buona lettura!
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