Lo chiamano “il match del secolo”, si disputerà in tutta Italia e il risultato è già scritto: 1000 a 0 per lo sport che, con i valori di cui è portatore, può sconfiggere brutti fenomeni come il bullismo e il cyberbullismo.“1000 a 0: sport vince, bullismo perde” è l’originale e grande partita promossa da MABASTA, un progetto nato a Lecce in ambito scolastico che, oltre ad essere un’esplicita esortazione, ha nell’acronimo la sua mission: Movimento Anti Bullismo Animato da STudenti Adolescenti.
La partita di MABASTA, che si potrà giocare in tutte le scuole d’Italia, mette in palio i sani valori dello sport: i principi del gioco di squadra, il fairplay, il rispetto reciproco. I giocatori della prima squadra, quella dello sport, sono ragazzi e ragazze tra i 6 e i 18 anni che praticano sport di qualsiasi tipo. È la squadra dei “tipi tosti“, che scende in campo contro i coetanei che mettono in atto atteggiamenti da bullo.
Lo sport è uno dei mezzi di aggregazione per eccellenza, che incentiva la sana competizione, la crescita personale e l’autostima. È fonte e maestro di principi fondamentali ed indispensabili nel percorso formativo e di crescita delle ragazze e dei ragazzi. Con i suoi principi e le sue regole, lo sport è uno dei mezzi più appropriati ed efficaci per prevenire e contrastare il bullismo, il cyberbullismo e l’isolamento.
Tutte buone ragioni per incoraggiare i ragazzi e le ragazze alla pratica sportiva, ma il progetto “1000 a 0” si propone di fare un passo in più: reclutare tutti i giovani che già praticano sport, circa 2.600.000 secondo le stime nazionali, come persone che hanno ben recepito e fatto propri tutti quei valori e principi già menzionati per metterli a frutto, facendosi “ambasciatori” di un messaggio “anti-bullismo” presso le classi e le scuole che frequentano.
In ogni classe vi sono, infatti, dai 2 ai 15 alunni che praticano regolarmente uno sport. Il progetto si propone, quindi, di formarli e renderli messaggeri dei valori di rispetto reciproco e del “fare squadra”, valori che cozzano in pieno con il bullismo.
Come si gioca la partita di MABASTA
Il campo di gioco è l’intera Penisola italiana, la missione è vincere la gara 1000 a 0 nel corso dei tre set previsti, che corrispondono ad altrettanti anni scolastici. I “tipi tosti”, che praticano sport e frequentano la scuola, opportunamente “allenati”, giocheranno portando i concetti e le azioni concrete di prevenzione e lotta al bullismo nelle loro classi e nelle loro scuole. Una sorta di gigantesca squadra i cui player sono degli “ambasciatori” dell’iniziativa e portano in tutta Italia i sani principi del “Modello Mabasta” composto principalmente da due comandamenti: non fare agli altri ciò che non vorresti che gli altri facessero a te e fai agli altri ciò che vorresti che gli altri facessero a te.
Il modello prevede, inoltre, sei originali azioni, che è possibile consultare qui www.mabasta.org/modello.html
MABASTA ha già autorevoli compagni di squadra come il CONI, le federazioni nazionali e locali, le leghe, le squadre, le palestre, ma anche altre istituzioni come regioni, province, comuni e la Fondazione CON IL SUD, che ha deciso di patrocinare l’iniziativa, riconoscendosi nei valori che la ispirano e negli obiettivi che si prefigge. Ma la campagna acquisti è sempre aperta! Su www.mabasta.org è possibile consultare l’elenco completo di chi ha già aderito e scoprire come aderire.
MABASTA nasce a febbraio 2016 dall’idea di un gruppo di studenti dell’Istituto Galilei-Costa-Scarambone di Lecce su impulso di Daniele Manni, professore di informatica, che insegna ai ragazzi “è molto meglio fare qualcosa anziché semplicemente parlarne”. Dopo aver discusso di un caso di cronaca in classe, gli studenti si sono chiesti che cosa potessero fare per tentare almeno di frenare fenomeno del bullismo. Nasce così un movimento di giovani e giovanissimi che vogliono fermare il bullismo, “per dimostrare a bulle e bulli che quelli contrari sono molto più numerosi!”. Oltre al sito internet, i ragazzi hanno creato una pagina Facebook per dare una mano non solo alle vittime, spingendoli a segnalare le loro storie, ma anche ai bulli veri e propri perché, “secondo noi – scrivono – forse sono proprio loro che ne hanno più bisogno”.
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