La contrapposizione tra nord e sud ancora più accentuata durante questa emergenza sanitaria e il ruolo del terzo settore per la fase di ripartenza. Il sito Informazione Senza Filtro ha chiesto un’opinione su questi temi a Carlo Borgomeo, Presidente di Fondazione CON IL SUD, in questa lunga intervista.

Ne riportiamo un breve estratto.

Presidente Borgomeo, lei ha molto a cuore il concetto di capitale sociale. Sostenerlo e incentivarlo è una forma di investimento o di donazione?

Guardi, è una domanda molto importante perché coglie uno degli aspetti più rilevanti del mondo della filantropia, del terzo settore e del volontariato. Indubbiamente veniamo da una tradizione in cui la donazione, che può avere motivazioni diverse, è un atto di pura solidarietà. C’è la cultura cattolica del dono e la cultura per la quale bisogna donare risorse o donare se stessi per superare delle disuguaglianze inaccettabili, e tutto questo appartiene alla dimensione della filantropia, che è un concetto molto bello, ma limitarsi a questo oggi è troppo poco. Oggi donare o donarsi in attività che avremmo definito di pura solidarietà, come l’accompagnamento di soggetti fragili, anziani non autosufficienti, bambini in povertà educativa, famiglie di detenuti, eccetera, hanno in sé un valore oggettivo di rafforzamento della cittadinanza e della comunità. Questo processo un economista lo chiamerebbe di “rafforzamento del capitale sociale”. E il capitale sociale – grazie a Dio molte persone ed economisti se ne stanno convincendo, ma ahimè ancora non i politici – è la premessa per lo sviluppo. Quindi, rispetto alla sua domanda, si tratta di un investimento, anche se tecnicamente non è tale, perché l’investimento presume un rendimento, un ritorno economico; qui c’è un ritorno socioeconomico complessivo che è evidente.

Ne è convinto?

Di questo io sono molto convinto, forse perché lavoro quasi esclusivamente al Sud, dove ci sono territori in cui questa equazione è assolutamente evidente. Ci sono territori nei quali si vede che la questione non è la povertà, che è una conseguenza di un disagio sociale profondo, ma l’assenza di una cultura del bene comune. Bisogna passare, e utilizzo un termine che può apparire forte, dalla filantropia al cambiamento.

Gli ultimi come una risorsa, quindi.

Guardi, per confermare e per rendere esplicito quello che penso utilizzo sempre un verso del Vangelo di Matteo: “Non avete mai letto nelle Scritture: la pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo”. Le pietre di scarto – trasportandole nel sociale – rappresentano gli ultimi, i fragili, quelli che non servono a niente e che vengono appunto scartati. La filantropia se ne prende cura, le vede, si accorge che ci sono, le accoglie, le sistema e le rende un po’ più dignitose. Poi c’è – e qui viene in soccorso il Vangelo – chi dice che le pietre di scarto diventeranno le pietre angolari sulle quali si costruisce la casa. Questo è il passaggio. E guardi che su questa cosa, che può apparire demagogica, velleitaria o astratta, io potrei citare decine di casi in cui lo abbiamo visto. Abbiamo accompagnato iniziative che sono partite esclusivamente con un’emozione e si sono trasformate in operazioni imprenditoriali non profit capaci di stravolgere un territorio.

Quindi la società va costruita sulle pietre di scarto. 

Anche sulle pietre di scarto. Invece la nostra cultura ci spinge a sostenere a tutti i costi la crescita, e se c’è crescita servono le risorse per compensare gli squilibri che inevitabilmente vengono generati. Questo è il vecchio welfare risarcitorio novecentesco: un sistema che ha funzionato, sia chiaro, ma non più sufficiente. Bisogna, per certi versi, addirittura capovolgerlo. In molte situazioni si parte dal bisogno. Quindi, tornando alla sua domanda iniziale, la risposta è secca: la donazione è e deve essere un investimento.

 

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