Il Parco dei Paduli è uno straordinario parco agricolo multifunzionale situato nel cuore della penisola salentina, subregione della Puglia meridionale. Tutto è iniziato nel 2003 quando i Comuni di San Cassiano, Botrugno, Nociglia, Surano, Sanarica, Supersano, e Giuggianello (Unione Terre di Mezzo) insieme ai Comuni di Scorrano, Maglie e Muro Leccese, sempre in provincia di Lecce, hanno avviato un lungo processo di ascolto degli abitanti, di osservazione del territorio, di ideazione e condivisione con professionisti ed eccellenze esterne di modelli per lo sviluppo del territorio. L’obiettivo era quello di abitare e rigenerare un territorio abbandonato costruendo un’idea di economia alternativa e turismo sostenibile, tramite la riscoperta e la valorizzazione del patrimonio agricolo.

Per saperne di più di questa esperienza abbiamo intervistato uno degli attori principali del progetto del Parco, Mauro Lazzari, membro del LUA, Laboratorio Urbano Aperto, giovane realtà salentina, composta da architetti, sociologi e giornalisti.

 

Cos’è e come è nato il Parco dei Paduli?

Siamo nel cuore del Salento, tra Otranto e Gallipoli, Lecce e Leuca. L’area è chiamata dei Paduli perché in origine c’era una grande palude, poi ricoperta da un bosco di lecci e solo tra il XVII e il XVIII secolo convertita alla produzione olearia.

L’aspetto interessante di questa esperienza è che si è avuto un approccio tattico alla costruzione di un territorio, non ci si è basati cioè soltanto su un sapere tecnico e specialistico, il più delle volte di tipo deterministico, ma anche sul sapere locale. Attraverso dei laboratori creativi è venuta fuori la consapevolezza di un territorio che ha riconosciuto un luogo prima dimenticato e da cui i nostri genitori si sono allontanati perché l’agricoltura non era redditizia. In tanti, infatti, sono emigrati tra gli anni ’50 e ’60 e poi sono tornati ma per dedicarsi ad altri settori, non a quello agricolo.

Questo luogo viveva nella memoria di tutti ma non veniva considerato. Noi lo abbiamo riportato al centro, costruendo tutte le strategie di innovazione e di sviluppo del territorio, partendo proprio da questo posto. Abbiamo fatto ciò attraverso: la conversione della produzione agricola al biologico, la gestione di seicento alberi di ulivo da cui produciamo l’olio extravergine, la sperimentazione dell’ospitalità diffusa attraverso l’albergo biodegradabile, un progetto che ha preso il nome di “Nidificare i paduli”, un workshop di autocostruzione sull’abitare sostenibile, volto alla realizzazione e sperimentazione di spazi temporanei e biodegradabili. Sono stati quindi avviati vari laboratori su gusto, biodiversità, mobilità lenta, produzioni culturali e agricoltura.

Perché il Parco dei Paduli viene definito multifunzionale?

Si parla di funzionalità perché all’agricoltura si uniscono una serie di pratiche innovative tese a costruire un’economia circolare, ovvero un’economia che tiene conto anche della debolezza che ha l’agricoltura se viene considerata da sola ma che costituisce una forza diretta e indiretta nei suoi effetti: diretta perché produce un reddito e ti permette di portare a produzione il campo agricolo. Oggi chi non è agricoltore guarda il paesaggio agricolo in modo contemplativo, chi è agricoltore lo guarda in modo produttivo. In realtà queste due dimensioni convivono: se c’è l’agricoltore che produce c’è anche il paesaggio.

Cosa sta succedendo agli ulivi del Salento e, più in generale, al paesaggio agricolo italiano?

Nel Salento la presenza di un batterio sta provocando il disseccamento rapido degli ulivi. Paradossalmente di fronte a questa situazione stiamo notando un’incapacità delle istituzioni nel riuscire a concertare una strategia. Ci troviamo in un territorio che sta diventando sempre più secco e la qualità dell’aria, dell’acqua e della terra stanno peggiorando. Proprio da questi elementi bisogna però ripartire per costruire dei paesaggi resilienti perché solo la grandezza del patrimonio genetico può rappresentare l’ultima ancora di salvezza per i paesaggi.

Il problema salentino non riguarda solo una piccola parte di una regione: quello che sta succedendo qui può capitare in qualsiasi altro territorio nazionale ed europeo, con una frequenza sempre maggiore. Solo costruendo dei paesaggi resilienti, biodiversi e sostenibili potremo fermare questa epidemia.

Il paesaggio agricolo sta letteralmente morendo, eppure non si vuole affrontare il problema e nessuno si vuole assumere delle responsabilità. Se la ricerca al momento non trova una situazione per gli ulivi, dobbiamo pensare ad altro. Bisogna avere coraggio per proteggere ciò che si può ma anche iniziare a costruire il nuovo, puntando sul locale, sulla qualità e su un patrimonio agricolo ampio. Oggi invece abbiamo poche qualità e molto fragili.

Fortunatamente un numero molto ampio di associazioni e di agricoltori ha deciso di tornare ad investire nella terra e sta crescendo l’attenzione verso un’agricoltura sana e sostenibile.

 

Alessandra Profilio