Le ricerche econometriche più recenti sulla soddisfazione di vita convergono con i risultati delle scienze sociali nel superamento di una visione riduzionista della persona umana. Già John Stuart Mill ammoniva gli utilitaristi ricordando che l’uomo è un cercatore di senso prima che un massimizzatore di utilità. Ovvero prima di decidere come riempire il carrello della spesa arriva la domanda sulla ricerca di senso. La generatività e la ricchezza di senso della vita sono ingredienti fondamentali del ben-vivere tanto che alcuni studi recenti su campioni rappresentativi di diversi paesi europei dimostrano come, al converso, la povertà di senso aumenta il rischio di mortalità negli over 50.
Questi risultati offrono importanti indicazioni operative per la soluzione del problema “pratico” che affligge il nostro paese, quello della bassa creazione di valore economico che rende difficile risolvere il problema occupazionale e mantenere l’equilibrio dei conti pubblici. Saranno vincenti in futuro quelle filiere di prodotto che sapranno creare valore attraverso tre dimensioni soddisfacendo la ricerca di senso dei cittadini. Non più soltanto dunque la dimensione della materialità del prodotto e della sua fungibilità per le finalità tradizionali di consumo, quanto anche quelle del valore simbolico del prodotto stesso e dell’esperienza che il consumatore può realizzare associata al suo consumo.
L’agricoltura, che vive oggi un momento di vivacità e di rinascita, diventa da questo punto un laboratorio interessantissimo dove gli elementi di valore simbolico ed esperienza si combinano con la fruizione tradizionale dei prodotti. All’interno di questa rivoluzione il filone dei beni confiscati (ovviamente non limitato a questo settore ma in esso coinvolto in modo preponderante) può occupare un ruolo molto importante. È infatti del tutto evidente la ricchezza di beni e servizi prodotti all’interno di questo settore dal punto di vista delle due nuove dimensioni di simbolo ed esperienza. Un bene o servizio prodotto all’interno di beni confiscati dunque non è competitivo soltanto per il rapporto prezzo/qualità ma anche e soprattutto per i contenuti di legalità che ne arricchiscono il valore simbolico e le possibilità di esperienza eventualmente vissute dai fruitori/consumatori. Se queste sono le potenzialità è evidente che molta strada deve essere ancora percorsa per poterle realizzare appieno. La legge della dimensione e delle economie di scala vale anche per i prodotti dei beni confiscati e dunque la competitività di costo e di prezzo di tali prodotti deve aumentare per evitare di partire da una posizione di eccessivo svantaggio da questo punto di vista. Poiché una dimensione cruciale dei costi dipende da elementi che sono propri solo di questa filiera (lunghezza eccessiva dei percorsi della giustizia che portano all’attribuzione definitiva del bene, rischi e costi connessi a possibili ritorsioni dei confiscati, ecc.) la capacità di fare progressi su queste dimensioni avrà importanza cruciale per la competitività futura di questa filiera. Anche se la visibilità del marchio ha fatto progressi molto rilevanti è sempre possibile e necessario progredire anche su questo versante per sollecitare tutta la disponibilità a pagare dei cittadini responsabili (opportunamente informati e sensibilizzati) in materia di legalità.
In conclusione, la strategia del settore dei beni confiscati di far leva sul voto col portafoglio dei cittadini e sulla disponibilità a pagare per la legalità è una scelta fondamentale che va approfondita ed arricchita per vincere, partendo da questo punto di vantaggio sulle dimensioni del senso e del valore simbolico del prodotto, la sfida competitiva non trascurando le dimensioni tradizionali di qualità/prezzo. E favorendo in questo modo una partecipazione attiva di tutti i cittadini, anche attraverso le scelte di consumo, alla promozione della legalità nel paese.
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