Il progetto Distretti culturali è nato con l’obiettivo di cambiare le modalità di valorizzazione del patrimonio culturale, indicando il territorio come dimensione strategica ottimale e rafforzando la programmazione di lungo periodo, l’interdipendenza tra sistemi artistico-culturali e tessuto produttivo locale e la governance della rete dei soggetti coinvolti. Il progetto Distretti culturali ha avuto l’ambizione di modificare le pratiche di valorizzazione richiedendo più innovazione e qualità nei progetti. Fondazione Cariplo ha avviato i distretti culturali con la consapevolezza che – non avendo la titolarità per porre regole nuove – avrebbe potuto cambiare i comportamenti dei soggetti attraverso l’uso di risorse e incentivi. Se in un primo momento le risorse erano principalmente di tipo finanziario, nel corso dei dieci anni di progetto, sono maturati altri tipi di risorse più immateriali relative al capitale umano dedicato e alla crescita di reputazione e legittimazione che i soggetti coinvolti hanno avvertito nel far parte di questo ambizioso programma.
Questa premessa è importante per introdurre la centralità riconosciuta al tema del capitale umano e degli incentivi per l’attivazione di buone pratiche. Infatti la volontà di misurarsi con obiettivi più ambiziosi di quelli ordinari e la capacità di fare proposte conseguenti e realizzarle richiede l’attivazione di persone con competenze e motivazione particolari in assenza delle quali difficilmente si raggiunge il risultato. Fare innovazione attraverso le istituzioni richiede oltre a creatività e conoscenza anche la tenacia necessaria a cambiare l’inerzia dei processi.
Anche per questo nel corso del tempo sono state effettuate progressive selezioni degli interventi e delle proposte portando ad avviare distretti culturali unicamente in quei contesti ove era più matura e credibile la riflessione e l’allineamento sugli obiettivi posti dal programma e dove quindi le risorse potevano essere meglio spese.
Ogni distretto culturale avviato aveva articolato la propria attività in una serie di interventi puntuali. Molti di questi avevano per oggetto un intervento di conservazione di beni culturali e il loro recupero per attività coerenti con la strategia complessiva. Per affrontare la complessità della valorizzazione può avere senso soffermarsi su tre livelli di lavoro: la policy locale, il management e la community.
Il primo livello da presidiare è quello della policy locale che riguarda la strategia entro la quale si colloca il singolo intervento e la sua coerenza, complementarietà e integrabilità con gli altri interventi. Il tema da approfondire è quindi la funzione d’uso prevista dal bene, le attività che esso ospiterà, l’utilità delle stesse nel quadro generale di sviluppo del territorio e le ricadute finanziarie negli anni futuri. Fondazione Cariplo ha dato molta importanza al presidio di questa dimensione. È una novità non da poco poiché molto spesso il recupero del Patrimonio artistico viene motivato semplicemente dal suo autoreferenziale outstanding value o – peggio – dall’urgente necessità dell’intervento e in entrambi i casi ciò che avviene dopo l’intervento non è oggetto di programmazione. Nel progetto Distretti culturali, invece, l’identificazione preliminare della funzione d’uso e lo studio della sua sostenibilità è stato un prerequisito e uno dei principali elementi di valutazione. Alcune proposte si sono innescate su forti visioni in grado di aprire nuove prospettive strategiche (è il caso delle reti di azioni e recuperi del Distretto della Musica a Cremona), più spesso ci si è trovati di fronte a soluzioni funzionali ad affrontare altri bisogni o a recuperare servizi culturali di tipo locale. La capacità di pensare su vasta scala richiede una visione ampia e, anche all’interno di un progetto di tipo distrettuale, logiche d’utilizzo di mera prossimità rimangono soluzioni frequenti perché più facili e meno costose. D’altronde la capacità d’identificare una funzione d’uso innovativa è rara e richiede impegno perché proposte poco solide o prive di forti alleati rischiano di subire blocchi o inversioni di rotta (non sempre migliorative, anzi) a causa delle frequenti discontinuità politiche.
Il secondo livello da presidiare è quello del management. La delega data da Fondazione Cariplo ai singoli distretti culturali in materia di gestione è stata ampia. La scelta dei soggetti a cui affidare la cura e l’utilizzo del bene è avvenuta in alcuni casi tramite gara, ma molto più spesso l’ente locale proprietario ha preferito mantenere il controllo del bene e delle attività spesso già presenti (è il caso di recupero di spazi espositivi, museali o bibliotecari) oppure limitarsi ad affittare gli spazi ad organizzazioni sociali e culturali locali (sedi di uffici o spazi per laboratori aperti al pubblico). La Fondazione ha però richiesto ogni volta un piano di gestione del bene che servisse a ragionare sulle complessità operative e sui requisiti di sostenibilità. Aumentare la consapevolezza sulle complessità della gestione è utile ma non sufficiente. Il piano di gestione potrebbe più utilmente rappresentare una sorta di contratto attraverso cui proprietario e concessionario negoziano gli impegni reciproci sia economici che operativi; per questo la cosa migliore sarebbe far produrre questo documento al soggetto che effettivamente andrà a gestire il bene al momento della concessione. Altro documento richiesto dalla Fondazione è stato il piano di conservazione preventiva e programmata che idealmente dovrebbe rappresentare uno degli strumenti primari per la programmazione delle attività e dei costi di manutenzione ordinaria e straordinaria (e costituire per questo un allegato del piano di gestione) oltre che uno stock di conoscenza sulla struttura del bene utile sia per il suo apprezzamento che per la sua promozione.
Il terzo livello da presidiare è quello della community. La popolazione residente è spesso spettatore passivo dei processi di valorizzazione se si eccettua qualche eventuale gruppo che ha sviluppato un concreto interesse per l’operazione. Tuttavia il contributo alla creazione di valore da parte della comunità può essere enorme sia nell’identificare una funzione d’uso del bene conforme ai propri desideri (è il caso dell’ex Filanda di Sulbiate e dei suoi protagonisti) sia nel parteciparne le attività di promozione e manutenzione (è il caso della Via dei Terrazzamenti in Valtellina e dei suoi protagonisti). La credibilità di queste operazioni sta nella gestione delle aspettative e prospettive di protagonismo che vengono generate; tecniche partecipative non devono essere motivate da zeli metodologici quanto dalla reale volontà di aprire i passaggi decisionali futuri. All’interno dei distretti culturali l’ascolto e l’aggregazione di soggetti terzi è stata autentica ma controllata e basata sull’effettiva rilevanza dei contributi forniti e sulle capacità di coordinamento dei processi decisionali da parte della rete dei partner.
Il progetto Distretti culturali di Fondazione Cariplo è stato avviato nel 2005 e si è chiuso nel 2015. La somma complessiva investita nel progetto è di più di 55 Milioni di Euro. Sono stati coinvolti 101 enti e sono stati avviati sei distretti culturali articolati in 123 azioni in: Valcamonica, Oltrepò Mantovano, Regge dei Gonzaga, Cremona, Monza&Brianza e Valtellina.
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