Siamo all’avvio di un nuovo ciclo delle politiche di coesione. I documenti valorizzano città e territori ma per trasformare le buone intenzioni in reali processi di sviluppo serve un cambio di passo che riduca la frammentazione, semplifichi le procedure e accorci la “filiera” attuativa.

Lo scorso 29 ottobre, l’adozione dell’Accordo di Partenariato con l’Italia da parte della Commissione europea ha aperto la strada all’investimento di 32,2 miliardi di euro di finanziamenti a titolo della politica di coesione nel prossimo ciclo di programmazione 2014-2020.

A questi vanno aggiunti 10,4 miliardi di euro per lo sviluppo rurale e 537,3 milioni di euro per il settore marittimo e della pesca.

Vista la complessa congiuntura economica, l’apertura del nuovo settennio di programmazione costituisce una grande opportunità di rilancio per il nostro Paese.

Il continuo calo degli investimenti pubblici, confermato dal recente focus BNL, il ritardo sempre più grave in termini infrastrutturali, la difficoltà nel costruire una vera politica di crescita che sappia rilanciare lavoro e occupazione sono alcuni degli aspetti chiave su cui la nuova programmazione europea è chiamata ad operare. Ma per farlo è fondamentale correggere le tante inefficienze registrate nel settennio appena concluso che, per certi versi, rappresenta un chiaro modello da non seguire per il futuro.

Sulla base degli ultimi dati messi a disposizione dal Dipartimento per lo sviluppo e la crescita economica (DPS), su un volume complessivo di risorse di circa 47 miliardi di euro (relative a Programmi operativi nazionali, interregionali e regionali del Fondo europeo di sviluppo regionale e del Fondo sociale europeo) la spesa certificata si ferma a 29,1 miliardi di euro, pari al 62,3% della dotazione complessiva successiva al Piano di Azione e Coesione. Si è detto molto sui motivi di questi ritardi per i quali si rischia di rendere inutilizzabile più di un terzo delle risorse totali: un’evidente difficoltà di programmazione, le contemporanee carenze nelle capacità amministrative e tecniche di gestione e, in modo particolare, l’eccessiva frammentazione degli interventi (complessivamente più di 800.000), in maggioranza costituiti da microprogetti non coordinati e di difficile attuazione: una vera e proprio “filiera” dei ritardi che coinvolge tutti i soggetti coinvolti nella gestione dei fondi strutturali.

Dotazione finanziaria, spesa certificata e spesa mancante Fesr e Fse 2007-2013

 Dotazione totale post PAC

 Spesa certificata totale

 Spesa mancante

 % spesa certificata su dotazione

               46.782.461.339                29.166.137.363                17.616.323.976

62,3%

Fonte: elaborazione IFEL su Dati OpenCoesione al 31.10.2014

 

Il quadro generale relativo all’ultimo settennio di programmazione riguarda da vicino anche il comportamento delle amministrazioni comunali e, più in generale, la dimensione territoriale. Considerando i dati relativi ai Fondi Strutturali e al Fondo per lo Sviluppo e la Coesione, i comuni figurano come attuatori di oltre 15.000 interventi. Si conferma quindi la marcata frammentazione alla quale si accennava precedentemente che complica inevitabilmente l’efficacia dei progetti. In effetti, ricorrendo a questo tipo di approccio nell’impiego dei Fondi, risulta estremamente complesso rispondere alle istanze di crescita strutturale che provengono dai territori e, in questo modo, le risorse messe a disposizione rischiano di trasformarsi in una sorta di cassa d’emergenza alla quale attingere per rispondere ai problemi locali che non possono essere risolti in modo ordinario a causa dei tagli ai trasferimenti.

I dati complessivi dell’ultimo ciclo di programmazione costituiscono un monito da tenere in considerazione per il ciclo 2014-2020. Oggi, forse anche più di ieri, la programmazione comunitaria rappresenta una notevole opportunità per gli amministratori comunali per potenziare la coesione economica dei territori che sono chiamati a governare. Del resto, già nel testo dell’Accordo di Partenariato, si registra la volontà di riconoscere una nuova centralità alla dimensione territoriale e, in modo particolare, al fenomeno urbano del nostro Paese. Il riconoscimento di tale importanza costituisce un passaggio inevitabile per fare in modo che gli obiettivi della nuova politica di coesione siano realmente perseguibili e generino effetti percepibili sui territori.

In modo particolare, l’obiettivo della nuova politica di coesione appare incentrato sulla definizione di un nuovo modello di sviluppo urbano. In quest’ambito, la strategia recentemente approvata da Bruxelles prevede una distinzione tra città metropolitane, alle quali è rivolto un Programma Operativo Nazionale specifico; città medie, importanti motori di sviluppo del nostro Paese che verranno coinvolte nell’attuazione dei Programmi operativi regionali; e sistemi di piccoli comuni, che saranno interessati in modo diretto dalla strategia dedicata alle “aree interne”.

La centralità della dimensione urbana si inserisce nel più ampio disegno europeo che affida alle città un ruolo importante nell’ottica degli ambiti di intervento previsti da Europa 2020. Temi come l’inclusione sociale e la crescita sostenibile toccano inevitabilmente la dimensione urbana e territoriale perché, proprio all’interno dei confini urbani, si costruiscono le nuove istanze di sviluppo e di organizzazione sociale che richiedono interventi e politiche efficaci.

Nel quadro delle prospettive europee delineate dalla Strategia “Energia 2020” e dall’ “Agenda Digitale Europea 2020” va riconosciuto, altresì,  il  ruolo fondamentale delle Città nel promuovere l’utilizzo di tecnologie che incrementino l’efficienza energetica del patrimonio pubblico e l’utilizzo di fonti di energia rinnovabile, che migliorino i servizi “avanzati” a cittadini e imprese, che favoriscano la semplificazione amministrativa e preparino migliori condizioni di contesto per gli investimenti privati.

Le sollecitazioni che provengono dagli oltre 8.000 comuni italiani possono sposarsi perfettamente con il disegno di lungo termine elaborato su scala europea. Le città possono e devono realmente diventare uno dei centri nevralgici dai quali realizzare un modello di sviluppo sostenibile in grado di favorire la coesione economica e sociale.

Rischiando di essere ripetitivi, però, serve un cambio di marcia rispetto al recente passato. Diventa imprescindibile una gestione più efficiente in termini di progettazione e attuazione degli interventi; e in questo senso l’istituzione dell’Agenzia per la coesione rappresenta un’ottima occasione per strutturare un monitoraggio sistematico e per fornire un supporto fondamentale alle amministrazioni titolari degli interventi. La complessità gestionale accumulata negli anni va semplificata, tentando di snellirne i processi decisionali.

A questo però va aggiunta la necessità di una presa di coscienza del reale valore, sia economico che strategico, dei Fondi: le scelte fatte nell’ambito della programmazione devono essere incanalate in un disegno comune attraverso la costruzione di politiche nazionali adeguate che consentano di costruire una forma di coordinamento dei diversi interventi.

Nel contempo, a livello locale, occorre incentivare la responsabilizzazione delle amministrazioni cittadine, con una maggiore autonomia gestionale ed attuativa delle Città titolari di interventi di sviluppo urbano, non solo nell’ambito del PON Metro, ma anche nell’ambito dei POR FESR. Con i Programmi comunitari URBAN, le Città, in quanto titolari di autonomia nella programmazione e gestione degli interventi oggetto del Programma, hanno fatto registrare una buona capacità di spesa sia nel ciclo 1994-1999 che in quello 2000-2006, con un forte incremento delle proprie capacità di programmazione e gestione. Nel ciclo 2007-2013, la scelta in qualche caso di programmazione regionale (PIU Europa, POR FESR Campania) di affidare deleghe gestionali alle Città quali Organismi Intermedi ha determinato una spinta decisiva nel rafforzamento delle competenze di governance da parte delle strutture comunali. La metodologia utilizzata è progressivamente divenuta prassi consolidata per la gestione delle opere pubbliche sul territorio comunale. Di contro, la perdurante concentrazione delle competenze a livello regionale in altri contesti e l’insufficiente grado di decentramento di competenze in direzione delle istituzioni locali sono stati all’origine di ritardi e inefficienze nell’allocazione e nella spesa di risorse per lo sviluppo urbano.

La ripresa economica del nostro Paese passa necessariamente attraverso interventi integrati di sviluppo locale, ma il particolare non può, e non deve, essere privo di connessioni rispetto al generale. E probabilmente questa è la sfida più grande che nei prossimi anni attende i comuni, il Paese e l’Europa intera.