Coesione sociale e sviluppo. Perché puntare sugli “ultimi”, è il tema affrontato nel primo numero del magazine di Fondazione CON IL SUD. Innanzitutto un plauso all’iniziativa della Fondazione, che attraverso questo nuovo strumento intende animare il dibattito sui temi sociali nel Mezzogiorno, in coerenza con i contenuti della sua missione istituzionale.

Mi permetto di obiettare brevemente sull’appropriatezza del titolo con riferimento all’utilizzo del termine “ultimi”, di cui a mio avviso si abusa spesso con l’inopportuno richiamo evangelico. Chi sarebbero gli ultimi? Rispetto a quale parametro? In base a quale classifica? Mi sembra che vi sia una implicita dichiarazione di superiorità da parte di chi utilizza il termine fuori dal contesto evangelico, tale per cui chi si occupa di chi è in difficoltà sarebbe quanto meno “penultimo”, se non addirittura “primo”. Meglio evitare!

Mi limiterei pertanto ad alcune brevi considerazioni sulla prima parte del tema proposto, cioè coesione sociale e sviluppo. E in questo caso il titolo è a mio avviso quanto mai appropriato, soprattutto nella sequenza, perché sottintende una relazione fattuale causa-effetto che personalmente condivido. Il Mezzogiorno ha vissuto sulla propria pelle l’intervento “a cuore aperto” di una relazione inversa: sviluppo (economico) e coesione sociale. Fiumi di denaro pubblico sono stati “investiti” in passato nel settore economico nella convinzione che il superamento delle distanze Nord-Sud potesse realizzarsi attraverso la creazione di industria e di occupazione, incuranti del fatto che proprio l’assenza di un tessuto sociale coeso e solidale, di una cultura ispirata a valori condivisi di legalità e giustizia, di un diffuso senso di appartenenza alla comunità, con i relativi diritti e doveri, minava alle basi l’efficacia dell’intervento stesso.

I risultati, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti. E non tanto perché una parte di quei fiumi sono finiti in mille rivoli, andando in parte ad alimentare i canali dell’illegalità e del  malaffare. Ma soprattutto perché lo sviluppo non si impone per decreto, né si realizza semplicemente potendo disporre di denaro. Il capitale è condizione necessaria, ma non sufficiente, allo sviluppo. J. Schumpeter, nella sua “Teoria dello sviluppo economico” non individua nel capitale il motore primo di sviluppo; è l’imprenditore, e il processo di distruzione creatrice che genera con la sua azione, che ne è la condizione imprescindibile.

Eppure, anche se con minore forza che in passato, si continua a insistere sulla necessità di investimenti pubblici al Sud, senza domandarsi prima che cosa farne e soprattutto a chi affidarli, dimenticando che l’impresa, e quindi lo sviluppo, può attecchire solo se vi sono le condizioni di contesto che ne favoriscano la nascita, il potenziamento, la crescita. E le condizioni di contesto sono prima di tutto quelle di carattere sociale e culturale: non si avvia una attività economica se non c’è legalità; non si avvia una attività economica se non ci sono competenze diffuse che poggino in primo luogo su un sistema scolastico e formativo solido; non si avvia una attività economica se non vi è un sistema di relazioni libero da logiche di tipo clientelare o assistenziale.

Bene fa la Fondazione CON IL SUD, quindi, a insistere sulla necessità di cambiare il paradigma ridando priorità e dignità all’intervento sociale quale condizione imprescindibile per lo sviluppo economico. Un obiettivo culturale e perciò complesso, difficile, di lungo periodo. Un obiettivo che la Fondazione non può perseguire da sola, ma che può contribuire a diffondere, indicando la strada e accettando il rischio di percorrerne il primo tratto da sola.