Il flop dei fondi strutturali al Sud? Una leggenda metropolitana utilissima per tagliare le risorse al Mezzogiorno. Se le Regioni sono incapaci, si diano gli interventi in mano ad agenzie o ad amministrazioni centrali.

L’intervista a GianfrancoViesti[1]

 

Professore, i Fondi strutturali al Sud sono stati un grande flop?

No, non lo possiamo dire. La differenza di dotazioni delle scuole italiane è fortissima lungo l’asse Nord-Sud. Le scuole al Nord sono in condizioni migliori rispetto al Sud tranne che per le dotazioni informatiche, che sono state finanziate con i fondi strutturali e che hanno portato in un decennio al pareggiamento delle condizioni degli studenti nelle due aree. Il Mezzogiorno dispone oggi di aeroporti di tipo europeo, realizzati con i fondi strutturali, che consentono l’atterraggio e il decollo di aerei delle compagnie low cost apportando un contributo importantissimo al turismo. I treni locali e regionali che circolano nel Mezzogiorno sono stati comprati, in gran parte, con i soldi dei fondi strutturali. Il sostegno agli investimenti delle imprese, in molti casi, ha consentito di contrastare la recessione soprattutto negli ultimi anni. Il fatto che siano stati un flop, dunque, è una leggenda metropolitana. Una leggenda utilissima per tagliare le risorse al Mezzogiorno. Naturalmente questo non vuol dire che non ci siano stati molti problemi, principalmente riguardo ai ritardi e anche alla qualità.

A proposito dei ritardi nella spesa. I ministri Barca e Trigilia hanno provato a dare una svolta a questa situazione. Ma il Piano di Azione per la Coesione, ad esempio, nato proprio per accelerare l’attuazione dei programmi cofinanziati dai Fondi Strutturali 2007-2013, non ha raggiunto gli obiettivi sperati. E’ un problema di scarsa volontà o incidenza della “politica” e della pubblica amministrazione, di eccessiva burocrazia, di interlocutori inadeguati, di obiettivi sbagliati, o altro?

Nelle scorse settimane i cittadini di Genova, allagata per l’ennesima volta, hanno assediato il municipio perché, pur essendo disponibili le risorse per l’adattamento dei torrenti che attraversano la città, non era stato fatto assolutamente niente. Il problema dei ritardi e delle difficoltà nella spesa in conto capitale, principalmente nelle infrastrutture, è notevole in tutta Italia. Per alcuni versi lo è di più nel Mezzogiorno, dove le opere da realizzare sono maggiormente complesse e le amministrazioni sono più deboli, ma è un problema nazionale. L’utilizzo dei fondi strutturali al Centro Nord è leggermente più veloce perché si finanziano principalmente trasferimenti e non investimenti. I ritardi nelle opere pubbliche dipendono da un insieme, difficilmente misurabile, di fattori quali le norme (nel caso di Genova sono i ricorsi al Tar delle imprese); le modeste e, temo, decrescenti capacità amministrative delle regioni del Mezzogiorno; le altrettanto modeste capacità amministrative dei ministeri italiani (uno dei programmi storicamente in ritardo è sempre stato quello gestito dal Ministero dei Trasporti); infine c’è un tema, molto importante, ovvero che con queste risorse si fanno tantissimi interventi, cosa non necessariamente sbagliata in sé ma che comporta un sovraccarico amministrativo. Il Piano di azione e coesione, assai opportuno, è però totalmente fuori dall’agenda politica del paese, cioè non interessa sostanzialmente a nessuno. La conferma viene dalla scelta del Governo che, con la legge di stabilità per il 2015, ha sottratto 3 miliardi e mezzo dal Piano di azione e coesione, senza neanche specificare da quali azioni andranno cancellate.

Per molti il fatto che non si riesca a spendere e ad essere efficienti al Sud è la dimostrazione dell’inadeguatezza e dell’inaffidabilità della classe dirigente meridionale, alimentando così la tentazione di dirottare altrove e per altri fini questi fondi.

Un Governo serio e convinto di questo problema dovrebbe assumersene la responsabilità politica, centralizzando, se è il caso, alcuni interventi. Se le Regioni sono incapaci, si diano gli interventi in mano ad agenzie o ad amministrazioni centrali. Prendiamo ad esempio il precedente ciclo, il Governo in carica fino al 2011 non ha fatto assolutamente niente per spingere, regolare, migliorare l’utilizzo di queste risorse e quindi a fine 2011, cioè dopo cinque anni dall’inizio del programma, il livello di spesa è stato di circa il 10 %. È stato fatto un importante tentativo nel biennio successivo, con i governi Monti e Letta che hanno portato sensibili miglioramenti e un inizio di inversione di rotta. Ahimè con il Governo attualmente in carica vedo un interesse politico alla questione veramente modesto, testimoniato anche dalla decisione del Governo, che trovo estremamente sbagliata, di ridurre il cofinanziamento alle regioni Calabria, Sicilia e Campania perché le amministrazioni regionali sono state lente nel ciclo precedente, dimostrando così uno scarso interesse allo sviluppo di quei territori: non si puniscono le Amministrazioni ma i cittadini e le imprese. Se le amministrazioni sono lente basta dirottare le risorse su amministrazioni centrali o su agenzie seguite direttamente dal Governo. Faccio notare che la spesa di cui parliamo va realizzata entro il 31 dicembre 2023; cioè il Governo non ritiene che nei prossimi dieci anni sarà possibile fare questi interventi.

A proposito di prospettive, sulla programmazione del sessennio 2014-2020 intravede delle novità rilevanti oppure dal suo punto di vista si sarebbe potuto o dovuto fare qualcosa in più per ridurre le probabilità di esiti negativi per quanto riguarda la spesa?

Si sarebbe dovuto fare moltissimo, proprio tenendo conto delle criticità più evidenti (per le quali rimando ad un mio recente contributo sulla rivista on-line Strumenti Res) che sono quelle dei ritardi e, complessivamente, quelle della frammentazione. Dopodiché, imparando da un’esperienza molto lunga di ormai 25 anni, si sarebbe dovuto organizzare meglio le politiche. Dai documenti di cui dispongo, però, non vedo traccia di questo approccio. Il programma 2014-2020 è organizzato grossomodo come il precedente; prevede ben 340 possibili azioni e, quindi, non sta creando i presupposti per una svolta. La stessa ragionevole ipotesi avanzata dal Governo Monti e proseguita dal Governo Letta di creare un’Agenzia alla presidenza del Consiglio per prendere carico dell’esecuzione di questi interventi mi pare proceda con una lentezza davvero sorprendente, quando invece c’è una drammatica urgenza di intervento tanto sul passato quanto sul presente.

Dunque, nelle intenzioni l’Agenzia si prefigurava come una scelta centrata, poi alla prova dei fatti è andata diversamente?

Secondo me sì, nel senso che le intenzioni dei due governi o meglio dei due ministri erano condivisibili. Il primo, Barca, puntava molto sull’attuazione e quindi sull’Agenzia, sull’individuazione di obiettivi e indicatori molto precisi. Il secondo, Trigilia, puntava molto sulla semplificazione del piano e sulla focalizzazione su pochi obiettivi. Su che cosa punti questo Governo non mi è dato di sapere anche perché, non essendoci un ministro, non c’è alcuna personalità politica che sia responsabile in pieno ed esclusivamente di questi interventi. Se ne occupa l’ottimo Sottosegretario alla presidenza del consiglio che, però, fa anche altre mille cose. Considerando che la situazione nel Mezzogiorno è catastrofica e si avvia ad essere peggio di quella degli anni ’30, cioè la peggiore nel secolo e mezzo di unità d’Italia, forse il tema meriterebbe un po’ di attenzione in più.



[1] Intervista a cura di Fabrizio Minnella