Presentare Riccardo Dalisi non è un compito semplice. Nella sua lunga vita (è nato a Potenza il 1 maggio 1931) così come nella sua arte sembra essersi divertito a mescolare passioni, competenze ed interessi, mischiando continuamente le carte in tavola. È designer, artista, architetto, ma – afferma – “tutti dicono che sono un poeta”. Ha vinto per due volte il “Compasso d’oro”, il più antico e prestigioso premio di disegno industriale al mondo.
Nel 2008/2009 nasce il “Compasso di latta”, ideato da Alessandro Guerriero e strutturato con un decalogo dal prof. Dalisi, il premio fonda le sue radici nel movimento culturale “Global Tools” fondato agli inizi degli anni settanta da Riccardo Dalisi con Mendini, Sottsass, Pettena ed altri.
In un numero che tratta di artigianato ci è sembrato interessante e stimolante ospitare anche un punto di vista più “artistico”, che attraverso immagini, suggestioni, interpretazioni del reale, possa far luce sui significati più sottili e insondabili del lavoro manuale. Perciò siamo andati ad incontrarlo nel suo studio a Napoli, dove ci ha parlato della sua visione dell’arte e della vita.
Dalle parole del maestro Dalisi emerge una concezione molto fluida e stocastica dell’opera creativa. “Le cose – ci dice – hanno una loro vitalità possibile. Una possibilità di essere vive, di sfociare in qualcosa di diverso, di interessante.” È come se gli oggetti e i materiali fossero in sé una sommatoria di possibilità inespresse, che l’artista aiuta, attraverso la creatività, a far sfociare in rappresentazione. “C’è un significato nelle cose, che va oltre l’oggetto, che non riesco a capire bene che cos’è, viene fuori da sé.”
E cos’è la creatività artistica se non, a sua volta, un flusso già esistente nell’uomo, e a cui non si deve far altro che dare espressione? “Il processo creativo avviene spontaneamente. L’uomo è creativo spontaneamente. Ha bisogno di creare, di materializzare. La creatività entra nelle mani e diventa manualità. ”
L’opera d’arte, poi, non mette fine al processo, ma ne rappresenta un nuovo inizio, l’ulteriore anello di una catena potenzialmente infinita. “Il fatto di terminare un’opera, di definirla e finirla, genera altre possibilità. È tutto un germogliare di possibilità, di cui è fatta la vita. Dentro un’opera c’è già la possibilità di un’altra cosa”, così come “ogni cosa genera altre cose, viene fuori da ciò che è imprevedibile. L’imprevedibilità sta dentro il mondo, dentro le cose.”
Questa concezione aleatoria dell’arte si ritrova in molti aspetti della sua opera, così come nella corrente di design radicale “Global Tools”.
Il design radicale, ci spiega il maestro, “è un design che sta alla radice: viene fuori da sé, con una forza interna, spontanea. Alla radice di ogni cosa ci sono possibilità che emergono, che turbinano tra sé, in sé e oltre sé.”
Nella sua vita Dalisi ha spesso scelto di lavorare in situazioni complesse, immergendosi in realtà difficili come Scampia, il rione Sanità e il carcere di Nisida. Ma, ci spiega, non è stata una scelta vera e propria. “Non ho mai pensato ‘voglio farlo proprio là’. È successo, è venuto fuori da sé. Mi incuriosiscono le cose povere, diverse, le situazioni che sembrano statiche, ma c’è movimento nella staticità. Perciò sono capitato là, e là sono capitolato e sono stato capito. […] La curiosità mi spingeva a fare tante cose. Ero curioso della vita, amavo la vita. Il principio di fondo è sempre quello: anche le situazioni più difficili creano possibilità, sprizza fuori la possibilità di fare qualcosa.”
Ed ecco che la visione dinamica e probabilistica dell’arte va ben oltre l’arte stessa. Anche le persone sono in fondo una sommatoria di possibilità inespresse, all’interno della quale la vita, progressivamente, traccia un percorso, selezionandone alcune e scartendone molte altre. Così quando gli chiediamo come ha lavorato con i ragazzi del Rione Sanità, la risposta viene spontanea: “Lì ho spinti ad essere quelli che sono, quelli che vogliono essere”.
Andrea Degl’Innocenti
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