Bon’t Worry è un’associazione fondata da Bo Guerreschi nel 2015, per aiutare concretamente le donne vittime di violenza che per ragioni economiche non possono difendersi. Contro la violenza di genere, la Onlus mette a disposizione una rete di professionisti competenti: avvocati, medici, psichiatri, psicologi e forze dell’ordine. Ad oggi l’associazione ha seguito 30 casi di donne decise a uscire allo scoperto e a parlare per poter riprendere a vivere. Con Bo Guerreschi abbiamo affrontato il tema dal punto di vista delle tutele nei confornti delle vittime, evidenziando criticità e punti di forza del sistema. Economista internazionale, oltre a fondare l’associazione ha scritto un libro sulla sua vicenda personale di vittima di violenze “Bo(h). Non si deve sempre morire per essere ascoltate” (Armando Editore 2015).
Ci può spiegare con un linguaggio molto semplice, quali sono dal suo punto di vista i punti di forza e le criticità dell’attuale quadro giuridico italiano sul tema della violenza di genere, con particolare riferimento alla prevenzione, alla definizione del reato, alle pene previste e alle tutele offerte alle vittime?
La violenza di genere è classificata come un problema, quando è un vero e proprio allarme sociale: senza tutela, con leggi e con organi competenti non consoni alla reazione che si dovrebbe usare nella situazione attuale.
La legge italiana è costituita da troppi articoli per fattispecie che nonostante abbiano come pena una determinazione che, se applicata potrebbe essere un “ deterrente”, manca di applicazione. La realtà è che la Giustizia in se non è considerata un deterrente, non è considerata una sicurezza per le vittime, non è classificata come dovrebbe essere. Se gli organi di competenza applicassero almeno quanto scritto dai Giuristi, sarebbe già un passo avanti. La legge italiana nel nostro Paese non è temuta se non dalle persone “per bene”, da coloro a cui sarebbe o è rivolta viene presa sotto gamba, non viene calcolata e la prova ne è l’intervista al padre dei due ragazzi che hanno stuprato, il quale ha sottolineato il fatto che “fino a quel momento avessero solo fatto qualche furto piccolo, qualche piccolo reato e per quello che hanno fatto sarà due anni e poi escono e vivranno la loro vita”. Risposta emblematica per dire che il nostro Paese non funziona. Sembra che abbiano timore a essere determinati, a essere severi e a far rispettare la legge come un Paese serio dovrebbe.
La legge definita “Femminicidio” comprende 5 articoli, che non servono assolutamente a niente. Una legge già di per sé discriminatoria. E’ omicidio indipendentemente dal sesso della vittima. Per il reato contro le donne, contro i bambini (compreso i reati sessuali) io porrei l’ ergastolo senza possibilità di rito abbreviato, di attenuanti. Ergastolo significa tutta la vita e devono rimanere fino alla fine dei loro giorni senza troppe attenzioni e senza alcun riguardo per la tipologia di istituto carcerario.
Un altro punto è la magistratura, che si deve svegliare e velocemente. Non possono archiviare senza indagini pensando che i fatti siano solo “donne fuori di testa o pazze” o che “se la sono cercata”, come mi dispiace dirlo, succede ancora. Archiviazioni prima e sangue dopo, archiviazioni prima e morti dopo, archiviazioni prima e situazioni di grave danno dopo: no, serve reazione subito e indagini con reazioni a tutela della vittima.
Una cosa bisogna sottolineare, le forze dell’ordine con il Codice Pisapia, entrato in vigore nel 1989, che ha tolto qualsiasi possibilità di intervento a discrezione del ricevente la comunicazione e/o la denuncia, hanno le mani legate.
L’Italia ha ratificato il Trattato di Istanbul, ottimo se fosse applicato, ma non viene considerato e rispettato, anzi molti non ne conoscono neanche l’esistenza.
Le vittime che non hanno un lavoro o che dovendo scappare non possono lavorare, uscite di casa non hanno nessun mezzo per poter ricominciare. Non hanno denaro, non hanno alcuna forma di sussistenza creando un ulteriore “attaccamento” all’aguzzino. Danno economico, psicologico e traumatico perché annienta trascinando loro e i bambini in un tunnel senza fine. Anche in questo caso non viene applicato il punto che prevede la costituzione di un fondo per le vittime di abusi, soprattutto per tutte le vittime e non solo per alcuni casi.
Nel corso degli ultimi cinque anni, secondo le statistiche basate sulle denunce, si è registrato un lieve decremento del numero di donne vittime di violenza. Questo andamento, sebbene possa essere legato ad una maggiore attenzione dedicata al tema a livello nazionale, è anche riconducibile al fatto che la violenza domestica rimane un crimine che in Italia non viene denunciato in oltre il 90% dei casi. Come spiega questo dato alla luce soprattutto delle difficoltà e dei rischi a cui si sentono esposte le vittime?
Rifacendomi alla domanda precedente, le vittime temono, hanno paura di denunciare sia per mancanza totale di tutela da parte degli organi dell’Autorità competente, sia per l’impossibilità delle forze dell’ordine di poter realmente e concretamente fare oltre il semplice intervento (e intervengono solo per sangue e/o cadaveri per “concessione” di legge). Le vittime hanno paura che in seguito ad una denuncia possano trasformarsi in cadaveri o ricevere ripercussioni oltre l’immaginario collettivo.
Non tutte le vittime sanno o riescono a chiedere aiuto a chi potrebbe seguirle e/o prenderle in carico portandole via. Le vittime non sanno che possono scappare senza ripercussioni, perché possono autodenunciarsi comunicandolo alle Forze dell’Ordine, o diversamente essere prese in carico da una ONLUS, attraverso i legali parte dell’Associazione/ONLUS. Le vittime sono vittime anche psicologicamente, bloccate dalla paura che le fa rimanere incastrate da ricatti e minacce. La trappola le trattiene annientandole completamente.
Le vittime perdono l’essere donna e l’essere persona. Si vergognano perché convinte di essere colpevoli e questo senso di colpevolezza rimane radicato permanentemente. Potranno assottigliarlo, ma mai cancellarlo del tutto.
In molti casi che riceviamo di richiesta di aiuto, ci accorgiamo che le donne davanti alla realtà non la vedono, la giustificano. Molte vittime anche minorenni sono affette dalla “sindrome di Stoccolma” che davanti a gravi reati fisici, chiedono aiuto per tornare, nonostante il nostro intervento, dall’aguzzino.
Molti i casi di Predatori che riducono la vita delle vittime a paure e terrore nello svolgere le ordinarie abitudini quotidiane e anche se denunciano, l’attesa, il tempo di intervento è eterno e la tutela, nulla!
Le percentuali degli ultimi 5 anni sono una fantasia, nella realtà è un bollettino di guerra e in percentuale siamo sull’ordine di 11 stupri al giorno, senza considerare i reati contro i minori, omicidi/femminicidi.
I casi di cronaca sono una piccolissimo numero rispetto alla realtà .
Vi sono degli omicidi, in realtà che nascondono molto di più.
Secondo la sua esperienza, in Italia si sta facendo abbastanza in questo ambito e cosa, invece, si potrebbe ancora fare più concretamente?
No, tante parole, ma per concretezza ed intervento l’Italia è solo una presa in giro. Derisa dagli aguzzini, derisa dai rei, derisa perché l’Italia che ha grandi e reali problemi seri, non ha persone serie (o meglio dire che ne ha “poche”) che prendano in esame tutti i fattori che portano a tale situazione di disastro. Si può fare e si deve fare di più senza attendere tempi e burocrazie che non servono a nulla. Un problema dell’Italia è che i burocrati non hanno idea di che cosa stiano parlando. Non hanno la più pallida idea di quello che comporta alle vittime la violenza a livello psicologico e a livello di vita. Danni che nella maggior parte dei casi, rimangono come “danni irreversibili”, si trasformano in “danni permanenti” con cui la vittima deve vivere e con cui la vittima deve combattere da sola e può dirlo solo chi la vive, chi l’ha vissuta o chi la nasconde, morendo dentro. Molti suicidi sono causa di danni non considerati.
I reati gravissimi e senza alcuna tutela sono anche i reati di “furto d’identità” via rete o attraverso organizzazioni anche internazionali a cui il predatore vende l’identità della vittima provocando danni senza leggi a tutela. I reati di diffamazione attraverso la rete, attraverso i social o informatici, che creano vere e proprie stragi di una catena che distrugge, trainandole in un silenzio eterno. Le richieste di cambio di identità sono diventate mila e non centinaia e anche in questo caso servono anni per una risposta data, non da chi potrebbe, ma da chi decide senza alcun interesse. Molte donne si recano all’estero per ottenere solo una tutela personale e rientrano con un nuovo nome e una nuova identità.
La legge Ferrara ha portato una maggiore attenzione da parte degli organi scolastici e professori, speriamo che venga applicata. Io collaboro molto con la Senatrice Ferrara, persona attenta e reattiva alle richieste di intervento e di partecipazione concreta sui singoli casi, ma anche in questo i politici, soprattutto le politiche sbagliano con le richieste di aiuto, cosa invece che in molti Paesi esteri, è immediata. Questo è un altro elemento di grave negligenza, perché attraverso una mail scritta nel momento di possibilità e di richiesta di aiuto potrebbero fare qualcosa, ma non agiscono o non leggono neanche. Vergognoso per persone che scelte per una nostra rappresentanza, lasciano il nostro Paese allo sfascio.
L’esperienza di Bon’t Worry Onlus, associazione di avvocati, medici, psichiatri, psicologi e forze dell’ordine è un esempio di come il problema abbia carattere multidimensionale. Ritiene che questo aspetto sia percepito da parte della collettività? E che ruolo hanno le associazioni in questo ambito?
La Bon’t worry ha oggi in carico 150 donne e 13 bambini. Siamo presenti e saremo presenti come costituzione di parte civile in 2 processi in atto e 8 in prossima prima udienza, tra violenza sessuale, omicidi e bullismo con casi di cyberbullismo. Le associazioni e/o ONLUS dovrebbero creare una rete, che invece non tutte accettano per loro regole o procedure e questo impedisce un coordinamento di tutto il Paese per monitorare la maggior parte del “mostro” sociale oggi presente a percentuali vergognose e, perdonatemi, “veramente oscene e schifose” per un Paese che è molto lontano da essere definito, all’avanguardia. Combattiamo ancora contro stereotipi tra donna e uomo.
La società ha preso e sta prendendo coscienza della situazione attraverso i media, ma siamo ancora molto lontani da creare un’attenzione e un intervento senza timori di ripercussioni. Il trattato di Istanbul concede la possibilità di recarsi dalle forze dell’ordine e dare comunicazione di presunti, possibili o sospetti senza essere coinvolti. Noi come Bon’t worry lo facciamo spesso con le forze dell’ordine sempre presenti, sempre al nostro fianco, sempre più attente, ma con poche possibilità di intervento, causa la modifica dal Codice Rocco al Codice Pisapia.
Nelle ultime settimane, il tema della violenza di genere e in particolar modo della violenza sessuale si è intrecciato fortemente al tema dell’immigrazione, creando molta confusione nell’opinione pubblica. I dati ci dicono che in 4 casi su 10 l’autore della violenza sessuale è straniero, mentre sono gli italiani in testa per percentuale di denunciati. Che idea si è fatta di questa situazione e qual è la sua interpretazione dei dati?
Per prima cosa: un reato sessuale è un reato sessuale e che lo commetta un italiano o uno straniero, la vittima c’è e i danni sono e saranno disastrosi.
In molte occasioni ci hanno chiesto le percentuali, e considero che la risposta potrebbe innescare una reazione classificabile “razzista”, ma non lo è. Dico solo che gli immigrati, più che gli italiani se ne fregano della legge italiana e non temono la galera, tanto con poco escono e tornano a fare quello che vogliono senza alcun timore.
Il reato sessuale in tutte le “guerre” è sempre stato classificato uno sfregio, una forma di sfregio per il Paese e la simbologia non è molto diversa dalla realtà. Siamo in guerra e davanti ad una guerra, bisogna difendersi, il Paese deve prendere una posizione dura e determinata. Non potrà piacere a tutti, ma davanti alla sicurezza di chi nella vita comune rischia a tutte le ore, a qualsiasi età, la smettano di chiacchierare e agiscano informandosi, chiedendo a chi potrebbe dire e dare modo di reazione a questo dramma sociale.
Claudia Cannatà
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