Sui Fondi Strutturali vedo soprattutto due criticità. La prima fa riferimento alla Commissione Europea, che ha un comportamento contraddittorio. La seconda è legata soprattutto al numero e alla qualità delle azioni che si possono avviare per realizzare i diversi obiettivi.
L’intervista a Carlo Trigilia[i]
Come giudica la programmazione dei Fondi Strutturali Europei 2014-2020? Rileva novità significative rispetto al passato, risorse adeguate per il terzo settore?
Non sono in grado di valutare esattamente come si è sviluppato negli ultimi mesi, con il nuovo Governo, l’accordo di partenariato e il rapporto con le Regioni. Posso però dire che nell’impianto complessivo di cui mi ero occupato c’erano due novità di rilievo: la concentrazione delle risorse in un numero minore di obiettivi e, nell’ambito di questa concentrazione, lo spostamento degli interventi infrastrutturali, dai Fondi strutturali in senso stretto – cioè dai fondi europei con cofinanziamento nazionale – al Fondo sviluppo e coesione, un fondo nazionale, quindi con risorse del Paese, finalizzato dalla legge alla realizzazione di grandi reti infrastrutturali di ampia portata. E’ un punto importante perché uno dei principali difetti della programmazione precedente – che ha inciso su capacità e qualità di spesa – era la forte dispersione su molti, troppi, obiettivi. Anche la debolezza della nostra capacità amministrativa, sia a livello decentrato delle Regioni sia a livello dei Ministeri più impegnati come autorità di gestione nei programmi nazionali, comporta naturalmente un maggiore rischio di inefficienza, di accrescimento dei processi di intermediazione politica. Se ci concentriamo su pochi punti questi rischi possono essere ridotti, il processo diventa più trasparente e si può controllare in modo più efficace dal centro, anche tramite l’Agenzia per la coesione territoriale che avevamo introdotto lo scorso anno. Dunque, tra le novità c’era una maggiore possibilità di sostenere – non solo di controllare – le autorità di gestione nel fare degli interventi efficienti.
Come pensa che si possa evitare per il prossimo sessennio che si ri-verifichino ritardi nella spesa o, peggio ancora, un parziale utilizzo dei fondi?
Rispetto al precedente ciclo, questo impianto si concentrava di più su alcuni obiettivi perché c’era una “strategia”, cioè le scelte non erano casuali, lasciate ad una mera negoziazione con i diversi attori coinvolti nella coesione territoriale, ma si basavano su un’analisi delle principali sfide e problemi ai quali è sottoposto il Paese, sia nel Centro Nord che nel Mezzogiorno. Gli obiettivi principali erano la modernizzazione del “made in Italy” per quanto riguarda il Centro Nord, ovvero iniezioni di nuove tecnologie nella struttura manifatturiera, e per quanto riguarda il Sud anche estensione della base imprenditoriale e capacità di sfruttare molto meglio le risorse locali, in particolare quelle legate all’agricoltura, all’industria e alla valorizzazione dei beni ambientali. Sulla base di quest’analisi, che richiamo esclusivamente per sommi capi, era stata decisa la concentrazione su particolari obiettivi – fondamentalmente innovazione, digitalizzazione, internazionalizzazione delle imprese, potenziamento dell’industria, valorizzazione delle risorse locali, soprattutto beni ambientali, agricoltura, industria, capitale umano, inclusione sociale – con possibilità di coinvolgere il terzo settore sia nei beni ambientali e culturali, sia nell’inclusione sociale. Fatto salvo questo impianto, io vedo soprattutto due criticità. La prima fa riferimento alla Commissione, che ha un comportamento contraddittorio. Durante l’interlocuzione avvenuta nello scorso anno con il Commissario Hahn, la Commissione ha manifestato apprezzamento per lo sforzo di concentrazione su pochi obiettivi, sia negli indirizzi del Commissario, sia nelle raccomandazioni in proposito che più volte la Commissione ha inviato al Governo italiano. Sennonché, la bozza di accordo di partenariato inviata a dicembre è stata esaminata dalle strutture burocratiche le quali hanno avanzato una serie di rilievi, oltre 350. Dunque, da un lato, a livello di indirizzo politico, c’è un apprezzamento del processo di concentrazione, dall’altro le strutture burocratiche insistono perché vengano compilate tutte le “caselline” previste, che sono francamente troppe, visto che con 11 obiettivi si coprono tutte le possibili politiche.
Evidentemente le strutture burocratiche tendono a valorizzare il loro ruolo. Da qui quelle 350 osservazioni, che erano superflue perché l’accordo con la Commissione e il Commissario prevedeva che la prima bozza non avrebbe affrontato una serie di problemi. In questo modo, inoltre, si insiste verso la frammentazione, perché si richiede che quasi tutti gli obiettivi siano coperti. E’ una prima criticità che si trova ad affrontare adesso il nuovo accordo. Penso che su questo, per venire incontro alle esigenze della Commissione, si sia allentato in qualche modo l’impianto di concentrazione originario.
La seconda criticità è legata soprattutto al numero e alla qualità delle azioni che si possono avviare per realizzare i diversi obiettivi. Prendiamo ad esempio l’obiettivo innovazione. Ha una certa allocazione finanziaria e bisogna stabilire le azioni che si possono fare. Nella fase iniziale – quando c’è stata la concertazione, nella prima parte del 2013, con le Regioni, i Ministeri, le categorie – è venuta fuori una proposta complessiva di circa 400 azioni. Nella fase successiva, nell’estate 2013, era stata ridotta a circa una quarantina di azioni. Dall’ultima versione dell’accordo di partenariato portato avanti dal nuovo Governo, mi sembra di vedere che si è giunti a 330 azioni. E’ una spinta che viene da tutti i soggetti interessati ad allargare nuovamente il campo delle azioni – in modo che poi ognuno trovi la strada che gli è più confacente per portare avanti interessi che magari non hanno una valenza più generale – il che comporta dei rischi molto forti di frammentazione, di diminuzione di capacità di controllo, di intermediazione politica impropria e non soltanto di dispersione delle risorse.
Al momento noto una contraddizione tra l’impegno che viene ribadito, giustamente, sui Fondi europei e su una migliore capacità di spendere queste risorse e la strumentazione concreta per realizzare tale obiettivo, che rischia di riportare quei pericoli di frammentazione che sono stati la croce dei cicli precedenti.
Vedo anche un’incapacità nel dibattito pubblico, di chi si occupa di coesione, di Mezzogiorno, a livello di stampa ma anche dei principali soggetti organizzati – per questo mi fa piacere che il Terzo Settore abbia organizzato quest’iniziativa – di entrare nei meccanismi concreti, che sono quelli che ne determinano il successo o l’insuccesso.
Quindi ci sono nodi molto importanti che riguardano il numero di azioni, i programmi operativi da fare, le capacità di controllo e di intervento attraverso l’Agenzia. Bisognerà capire anche quest’Agenzia se effettivamente riuscirà ad avere un ruolo, una capacità di indirizzo politico oltre che di controllo burocratico. Indirizzo politico forte, perché si vigili sul processo di realizzazione e di attuazione di queste risorse.
Inoltre è ancora in corso una problematica relativa al precedente ciclo 2007-2013, non solo di salvataggio delle risorse a rischio, ma anche di riutilizzazione, di attuazione di quelle misure di riprogrammazione che erano state prese dal precedente Governo per mettere in salvaguardia risorse a rischio ma anche aumentare, accelerare, l’impatto anticiclico di queste risorse, destinate ad esempio per interventi a favore del credito delle piccole e medie imprese, dell’avvio di lavori urbani, dell’efficientamento degli edifici scolastici, di piccole opere urbane da realizzarsi entro il 2015. Tutto questo richiederebbe un processo di attento controllo e verifica dell’attuazione delle misure di riprogrammazione, di cui però al momento non è dato sapere.
[i] Intervista a cura di Fabrizio Minnella (realizzata per “Esperienze con il Sud”, anno III n. II aprile-giugno 2014)
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