“Una città senza mura” è una metafora e una visione. Nella mente dei tanti cittadini di Lamezia Terme, rom e non rom (gagé), il campo rom Scordovillo simbolizza la rappresentazione di un luogo che incarna vissuti, sentimenti, relazioni umane, difese, ansie e paure vicendevoli di due comunità che da decenni abitano nella stessa città.
È anche il titolo dato al progetto, finanziato dalla Fondazione CON IL SUD, e realizzato a Lamezia Terme da una rete di organizzazioni sociali, radicate sul territorio, che da tempo svolgono attività insieme ai rom.
Un progetto è una scommessa, un obiettivo su cui qualcuno sceglie di puntare: c’è chi propone, chi finanzia, chi realizza, chi viene coinvolto successivamente. Abbiamo scommesso che i giovani lametini rom e non rom possono diventare costruttori di cittadinanza per essi stessi e per l’intera comunità. Siamo partiti dai giovani e coi giovani, consapevoli che il futuro di questa città sarà loro. Li abbiamo affiancati in un percorso di riconoscimento reciproco, dove fosse possibile esprimere i pregiudizi e i preconcetti culturali che ognuno porta con sé, rielaborare le esperienze fatte e darne dei nuovi significati tramite il confronto tra pari, superando ciascuno le proprie resistenze e paure.
«… Il mio ricordo sui rom me lo porto da bambina, quando la mia nuova bicicletta che mi era stata regalata da poco mi fu rubata sotto casa da un rom più grande di me…. per me andare a prendermi il caffe a casa di Damiano, girare la città insieme per raccogliere foto, intervistare, costruire il video, fare insieme il viaggio a Madrid è stata una scoperta non di lui, ma di me… di quanto i miei pensieri, le mie idee stavano cambiando sui rom».
«..Abbiamo capito facendo delle cose insieme.. pensarle, condividerle, concretizzarle… diventavamo potenti cioè veramente noi insieme…».
«Io sono andato poco a scuola e trovarmi a parlare con “gli italiani” non mi è facile, ma siccome c’era Massimo e lui non si vergogna più a parlare con tutti, mi sono fatto forza e ho cominciato anch’io a venire a questi incontri…».
Così si dichiaravano negli incontri finali tra centinaia di studenti, in mezzo a operatori sociali e culturali, imprenditori e rappresentanti della città: «Noi siamo un gruppo di giovani lametini, rom e gagé che, da diversi mesi, ci riuniamo per conoscerci e trovare possibili soluzioni alla situazione di stallo che vive la città… non possiamo ignorare le mura del campo Scordovillo… Noi però siamo fortemente convinti che sia arrivato il momento di impegnarsi a trovare soluzioni… le cose possono cambiare e gli strumenti siamo noi: siamo noi giovani che possiamo cambiare la situazione, siamo noi i responsabili della Lamezia futura…».
Questi giovani si sono investiti in una scommessa di co-produzione, di impegno comune, arrivando poi insieme a riconoscersi autonomia e autorità di dire ciascuno la propria, di suggerire proposte alla città per un migliore futuro di tutti e tutte.
I giovani rom e gagé, pur essendo della stessa città, avevano esperienze, frasari, storie diverse tra loro. Per i giovani rom, provenienti da vissuti di esclusione e di impoverimento culturale e sociale, è stato fondamentale il venire messi in grado di acquisire pian piano “le parole” e di sviluppare l’esercizio delle proprie capacità; per i giovani gagé invece, provenienti da contesti culturali restii e difensivi nei confronti di minoranze come quelle rom, vi è stato bisogno di fare esperienze in prima persona che li aiutassero a modificare delle rappresentazioni sociali introiettate e a ri-costruire nuovi schemi interpretativi frutto degli apprendimenti dall’esperienza diretta.
Noi operatori del progetto abbiamo capito che se nella prima fase gli interventi di mediazione sono stati importanti per garantire quei processi di negoziazione, di reciproco empowerment e di fiducia, a un certo punto andava compiuto un passaggio successivo di disintermediazione, cioè fare in modo che i giovani instaurassero un rapporto più diretto tra di loro. Insomma, lasciarli alle rispettive responsabilità individuali e sociali. Il rischio altrimenti è quello – e ai gruppi che si fanno carico della “questione rom” spesso accade – di sostituirsi e perpetuare forme assistenzialiste e meccanismi di dipendenza, mentre invece diviene necessario fare leva sulle loro capacità di emancipazione e sulle loro innumerevoli possibilità di concorrere a produrre a loro volta beni a vantaggio della collettività.
“Una città senza mura” ha visto la realizzazione di alcune attività importanti e necessarie, come gli inserimenti lavorativi delle persone rom, la creazione di attività imprenditoriali, la mediazione culturale nella città o gli interventi di animazione nelle strade e nelle piazze, i laboratori di interazione civica, i percorsi educativi con genitori e insegnanti, i viaggi nazionali e internazionali e altro ancora. In aggiunta e in particolare, il progetto ha rappresentato la messa in atto di processi che hanno mobilitato persone, istituzioni, gruppi e organizzazioni determinando nuove forme di alleanze e strategie d’insieme. Esso ha facilitato l’incontro tra attori locali, reti solidali esistenti e ne ha promosse di nuove. Non senza fatiche, ha sviluppato azioni e pratiche di capacity building in individui, gruppi e reti.
Abbiamo lavorato alla creazione di connessioni di reti solidali, intendendo per queste non solo quelle sociali, ma anche quelle del mondo delle imprese, delle istituzioni, dei gruppi sportivi e tanti altri. Per quanto competenti possano essere certe organizzazioni, esse potranno difficilmente sostituirsi a una città, né tantomeno pensare di poter risolvere da sole questioni ataviche e complesse come quelle della convivenza tra rom e gagé nelle nostre comunità. Diamo qualche numero per comprendere la dimensione dell’intervento attuato: 58 realtà cittadine (gruppi, imprese, associazioni culturali e sportive, parrocchie, scuole, ecc.) si sono messe in rete. Oltre 1000 persone si sono coinvolte nelle varie attività, in 6 quartieri della città. La costruzione e la connessione di reti solidali complesse ha costituito uno sforzo innovativo da parte dei diversi soggetti in quanto sono stati stimolati ad assumere modalità adattive al fine di rendere possibile la collaborazione anche con quelli con cui non erano abituati a operare, o non ne condividevano del tutto gli obiettivi. Il progetto, oltre a connettere reti ha costruito ponti, e non semplicemente tra le due comunità rom e gagé ma anche tra quelle tre comunità trasversali che Aldo Bonomi chiama di rancore, operosità e di cura.
Gli interventi hanno generato energie e rimesso in moto soggetti i quali, soprattutto, hanno riflettuto sulle questioni ritenute prioritarie dalla Strategia nazionale di inclusione dei rom sinti e camminanti (2012-2020), e in particolare hanno delineato proposte relative all’abitazione, all’istruzione e all’accesso al lavoro. Attraverso processi partecipativi il progetto ha sperimentato nuove forme di cittadinanza e di autorganizzazione. Queste sperimentazioni consegnano alla città di Lamezia Terme nuovi legami di comunità da far continuare, crescere e svilupparsi.
Narrare un progetto è narrare una storia fatta di persone, di luoghi, di racconti, di aneddoti, di negoziazioni, di pensieri che aprono al futuro. Ebbene sì, perché un progetto deve lanciare pensieri alla città futura dove lo si realizza, alle persone che ci hanno investito o ne sono state interessate, a chi è incuriosito di processi di innovazione e modalità di lavoro collettivo. Il progetto apre alla speranza. Proprio come diceva Massimo in platea nel convegno di chiusura: «Noi giovani abbiamo tolto qualche mattone a quelle mura!». E noi tutti sappiamo che le città apprendono dalle esperienze vissute collettivamente, anche procedendo a piccoli passi, se ne fanno memoria, se innescano modalità capaci di far evolvere processi virtuosi, se noi tutti abbiamo una giusta resilienza per continuare a orientare le azioni di cambiamento.
ALCUNI NUMERI DEL PROGETTO
“Una città senza mura” ha coinvolto più di mille persone; ha attivato circa 200 adulti rom e 75 tra bambini e adolescenti rom; si sono coinvolti attivamente 33 giovani tra rom e gagé; hanno collaborato 58 realtà cittadine; hanno lavorato in borsa lavoro 32 cittadini rom e ne sono stati sensibilizzati al lavoro 81; abbiamo collaborato con 30 aziende del territorio e 13 hanno inserito in tirocinio formativo giovani rom; abbiamo realizzato 40 eventi di animazione di strada e 6 feste popolari; abbiamo interessato e coinvolto 5 scuole nelle attività, 72 insegnanti, 28 genitori di etnia rom; 75 persone hanno partecipato ai laboratori di innovazione sociale; abbiamo collaborato con 5 parrocchie; siamo stati presenti in 6 quartieri diversi della città.
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