Luisa, Rita, Rosaria, Carmela, Ida . . . ed altre 13 donne vivono a Forcella, ogni giorno della loro vita. Alcuni dei loro mariti sono in carcere per camorra, altri sono in giro per l’Italia per un mestiere molto “tipico”: il “magliaro”, ossia chi da ambulante vende biancheria e vestiti ed al contempo cerca di sopravvivere con qualche piccola truffa. Cosa significa per queste donne “coesione sociale?” Nulla. Semplicemente nulla. Lo Stato, per loro, è quell’entità lontana che vuole le tasse, che incarcera i mariti, che obbliga i figli ad andare a scuola. E la lontananza dalla vita di ogni giorno, produce il ritenere ingiuste le tasse e normale l’esperienza in carcere o giustificare i figli quando non frequentano la scuola. La commistione di questi elementi con una politica che li percepisce solo per il numero dei loro voti o con una vecchia carità cattolica che li vede come gli ultimi cui dare il pesce, ma non insegnargli a pescare pena la perdita del proprio ruolo di benefattori, produce quella tipica rassegnazione alla vita che spicca alla vista, se le frequentate superficialmente. Ma se realmente aveste la possibilità di conoscere Luisa, Rosaria, Rita, Carmela, Ida e le altre 13 donne, scoprireste un universo di potenzialità, di emozioni, di valori soffocati dalla quotidianità, da scelte familiari imposte, ma poco accorte verso lo sviluppo della persona. Un universo al femminile immerso in un territorio dove la donna è ancora troppo spesso considerata “inferiore”.
Noi abbiamo prima conosciuto i loro figli: vengono ad un doposcuola gratuito che si tiene dal 2004 in una casa sequestrata alla camorra. Ci sono voluti 5 anni di lavoro silenzioso, duro, intenso del coordinatore del doposcuola, Gabriele Miccio, perché anche loro, le madri, iniziassero a fidarsi: non eravamo né politici interessati al loro voto né benefattori interessati più a noi che a loro. Ed è stata una scoperta per entrambi. Le loro storie, la loro vita, ci hanno posto di fronte ad una semplice verità: senza lavoro, senza la dignità che dà un lavoro regolare retribuito, senza il denaro che un lavoro può assicurare, tutti i vari, bei discorsi sono abbastanza inutili. E senza questo valore non avevamo alcuna alternativa all’unico sistema che assicurava lavoro e denaro al territorio: la camorra. Per spezzare un sistema criminale su un territorio non serve l’Esercito o la Polizia, se non per arrestare qualche delinquente o ridurne le attività mediaticamente più eclatanti, ma il sistema continuerà a sopravvivere se non assicuriamo alle persone la dignità del vivere, a cominciare da un lavoro che contenga in sé tutti i suoi valori: non uno di quegli interventi pubblici inutili e dannosi di falsi lavori sociali o pubblici che dir si voglia.
La verità del lavoro, della dignità della persona umana l’abbiamo vista immediatamente, ma come fare? Soprattutto in una fase recessiva dove nel territorio si raggiungono indici di disoccupazione vicino al 70%?
Fondazione CON IL SUD e Enel Cuore Onlus ci hanno permesso di realizzare un sogno: cercare di dare un futuro ed un lavoro dignitoso a un gruppo di 18 donne. Abbiamo quindi deciso di sviluppare tre progetti in contemporanea: 6 donne da inserire nella ristorazione per valorizzare le loro conoscenze in cucina; 6 nel riciclo di abiti usati e 6 nei servizi alla persona. Le opportunità specifiche, le criticità presenti in ognuno dei progetti, hanno poi condotto ogni area ad avere tempi diversi di avvio. Oggi l’area più avanzata è proprio quella del catering e della ristorazione condotta in accordo con un gruppo di imprenditori privati che ha accolto la sfida di aprire un nuovo ristorante proprio a Forcella.
Ma non tutto è così semplice come può sembrare. Ci sono voluti mesi solo per sviluppare un’idea molto semplice: avere un compenso per il lavoro che si svolge non è un automatismo, non è “dovuto”, ma è legato all’orario di lavoro, alla mansione etc. E per alcune di loro, abituate a ricevere soldi solo perché parenti a boss della camorra, si tratta di un cambiamento epocale. Difficile soprattutto per gli operatori che devono essere capaci ogni giorno di gestire la frustrazione del fallimento, i rimproveri o le piccole minacce che ognuna di loro usa perché è il loro modus vivendi che le ha accompagnate per decenni e che fanno fatica ad abbandonare.
Oggi abbiamo le prime 6 donne che stanno portando a termine il loro tirocinio formativo presso il ristorante e che si stanno preparando ad affrontare una sfida ancora più grande: divenire loro stesse le artefici del proprio destino, far nascere una nuova impresa sociale che le vede protagoniste ed imprenditrici del proprio futuro. Una sfida difficile del cui esito non siamo sicuri, ma che speriamo potrà dare risultati positivi e permettere ad un gruppo di donne destinate ad un ruolo passivo, di porsi nella struttura sociale in modo assolutamente forte e diverso. Forse è questa la coesione sociale.
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